venerdì 20 aprile 2018

Confeuro. Il Gip ordina il divieto di esercitare l’attività imprenditoriale per i coniugi Lo Faro.


Era il 2 febbraio scorso quando la Guardia di Finanza sequestrava beni mobili e immobili, per un valore complessivo di oltre tre milioni di euro, a tre persone responsabili della Confeuro, una grande un’associazione sindacale operante nella provincia di Vibo Valentia. I tre soggetti in questione sono il 49enne Eugenio Lo Faro e la moglie Maria Rosa Camillò, entrambi di Soriano, titolari inoltre del patronato "Labor" con sede a Vibo, Pizzoni e Soriano, e di Francesco Rosario Lo Faro. Appartamenti, case al mare, autovetture, conti correnti bancari e postali, depositi e risparmio, polizze assicurative, fondi pensioni e conti deposito titolo. Questa la fortuna accumulata dagli indagati a cui il Gip del tribunale di Vibo Valentia, su richiesta della Procura della Repubblica, aveva disposto una misura cautelare patrimoniale, ovvero il sequestro di tali beni. Per capire in che modo gli indagati hanno potuto far lievitare quanto illecitamente prelevato, basti pensare che il Lo Faro era l’unico soggetto delegato ad operare nei rapporti bancari e postali intestati all’associazione, mentre la Camillò e Lo Faro Francesco erano componenti della presidenza territoriale, vale a dire l’organo preposto alla redazione dei consuntivi. Stando alle accuse mosse nei loro confronti, prelevavano arbitrariamente il denaro dell’associazione. I soldi, dal conto corrente intestato alla Confeuro, venivano depositati nei loro conti correnti privati. Il denaro riscosso, dunque, non era impiegato per il perseguimento delle attività statuarie, ma, attraverso una serie di operazioni bancarie, veniva distratto e depositato su conti correnti bancari riconducibili agli indagati e utilizzato per fini personali. Le risultanze delle indagini, coordinate dal Sostituto Procuratore della Repubblica, Benedetta Callea, hanno portato il giudice del Tribunale di Vibo ad indagare i responsabili per appropriazione indebita aggravata e autoreciclaggio.
La notizia di oggi è che Eugenio Lo Faro, come precisato, presidente e rappresentante legale della Confeuro, è stato raggiunto da un’ordinanza applicativa di misura cautelare interdittiva spiccata dal Giudice per le indagini preliminari Graziamaria Monaco su richiesta del P.M. In pratica, il Lo Faro non potrà esercitare l’attività imprenditoriale, per un periodo di dodici mesi.  La misura restrittiva applicata dal Gip è finalizzata alla salvaguardia dell’integrità dell’ingente patrimonio a disposizione dell’associazione. Un provvedimento che è il frutto del prosieguo di un’inchiesta che ha permesso agli inquirenti di mettere in luce l’attività criminosa di un’organizzazione sindacale dedita alla distrazione dei proventi per uso personale e per il mantenimento di uno stile di vita tutt’altro che frugale.
Un immenso giro di soldi che continuava a generare altro denaro e altre attività illecite. Ad esempio, i ricavi e i profitti delle vendite dei titoli venivano utilizzati, secondo il Gip,  in nuove operazioni di compravendita immobiliare.
Ma ora, per la coppia sorianese, è arrivato il momento di un lungo periodo di fermo. L’interdizione di continuare ad esercitare le febbrili attività imprenditoriali è il secondo, e forse non ultimo, step degli esiti dell’intenso lavoro del PM e della Guardia di Finanza. Un’indagine, insomma, che promette nuovi sviluppi.  
 Nella foto: il sostituto procuratore Benedetta Callea.

Scatta la protesta degli ospiti del Cas di Nicotera. .Salma del migrante morto nel campo di calcio custodita nel deposito delle bare. .



 Questo articolo è uscito l'11 aprile.
Nicotera. Mentre è ancora viva la costernazione, dentro e fuori il centro di accoglienza, per la morte nel campo di calcio di Abdul Ba, il giovane richiedente asilo senegalese, è scattata la protesta degli altri ospiti dell’Hotel Miragolfo, intorno alle 16, davanti all’agenzia funebre dei fratelli Solano. Ad innescare la miccia il fatto che il corpo del giovane migrante si trovava custodito all’interno dell’Agenzia funebre e non all’obitorio di Vibo Valentia, come in un primo momento era stato loro detto. Gli amici di Abdul l’hanno presa malissimo: hanno interpretato la consegna della salma al deposito delle bare come una gravissima mancanza di rispetto nei confronti del giovane colpito dal tragico destino; come una forma di intollerabile discriminazione ai danni di una persona di colore, lontana da casa e senza diritti e dignità. Un nutrito gruppo di ospiti del Centro ha stazionato imperterrito davanti all’agenzia, chiedendo di poter vedere il loro compagno deceduto, di ottenere spiegazioni in merito al trattamento, considerato lesivo della sua dignità, riservato al suo corpo, e che soprattutto la salma fosse trasportata immediatamente all’obitorio dell’ospedale di Vibo, in attesa di fare rientro in patria, in Senegal. Con il passare del tempo, il gruppo dei manifestanti andava ingrossandosi sempre di più, in quanto, man mano che si spargeva la notizia che la salma del giovane Abdul si trovava in ciò che era considerato un magazzino cresceva l’indignazione degli ospiti che in un gruppetti di quattro o cinque persone a passo veloce e deciso si recavano davanti alla sede dell’Agenzia funebre. Non sono mancati attimi di tensione: qualcuno, in preda alla collera, ha inveito contro i responsabili della società Acuarinto, rei, a quanto sembra, di non aver trasportato il corpo di Abdul all’ospedale di Vibo e di averlo trasportato invece presso il deposito delle bare.
Chi di loro masticava un po’ di italiano ha espresso senza tanti giri di parole il perché di quel palpabile risentimento: «Nemmeno a un cane viene riservato questo trattamento. Anche questo è razzismo! Se si fosse trattato di un cittadino italiano non sarebbe stato trattato così». Bocciata, d’altra parte, la proposta di trasportare la salma al camposanto: di cimiteri cattolici non volevano proprio sentir parlare. Abdul era musulmano e il suo funerale deve essere svolto con rito rigorosamente musulmano, e nel suo Paese d’origine, il Senegal. Per sedare gli animi provvidenziale è stato l’arrivo dei Carabinieri della locale stazione. Il Comandante Luca Caravaglio, con pazienza e spirito conciliatore, è riuscito a far comprendere ai manifestanti che nessun trattamento discriminatorio è stato messo in atto nei riguardi di Abdul. Nel dolore e nello sconcerto di una morte incomprensibile, la vicenda si è chiusa all’insegna della solidarietà: grazie alla costante mediazione del Comandante della Polizia municipale, Maurizio Marino, che agiva anche in rappresentanza del Comune, il Cas di Nicotera si farà totalmente carico del trasporto in patria del giovane senegalese: costo 15 mila euro.

Ospite del Cas muore mentre gioca a calcio.


Questo articolo è uscito il 10 aprile.
Nicotera. Aveva 27 anni il migrante senegalese che ieri pomeriggio è deceduto mentre giocava a calcio, nel campo sportivo comunale “Ciccio Lapa”. A stroncare la sua giovane vita presumibilmente un attacco cardiaco.
Ieri una bella giornata di sole ha spinto gli ospiti del Centro di accoglienza, allocato all’interno dell’Hotel Miragolfo, a recarsi al campo di calcio per disputare una partita. La convenzione tra la società Acuarinto, che gestisce il centro, e l’A. S. Nicotera, permette ai richiedenti asilo di poter usufuire dello stadio comunale per trascorrere qualche ora all’insegna dello sport. Era la prima volta che il ragazzo ghanese, che ieri in quello stadio è stato colto da malore, si cimentava in una partita di calcio con i suoi amici. Un esordio che gli è stato fatale. Il giovane, durante il match, si è sentito male e si è accasciato a terra. Immediato l’intervento dei compagni di gioco e del personale dell’associzione Acuorinto. Il richiedente asilo è stato trasportato alla Guardia Medica di Nicotera, dove è spirato. Ora il suo corpo giace nella sede di un’agenzia funebre nicoterese.

Incidente sulla statale 17. Muore l'infermiere Salvatore Montesanto.


Nicotera. L’asfalto reso viscido dalla pioggia, lo scontro frontale con un’altra autovettura e la fitta nebbiolina adagiata sull’asfalto. Questi gli ingredienti mortali che hanno causato il gravissimo incidente, ieri mattina, sulla statale 17 che conduce a Tropea, in cui ha perso la vita Salvatore Montesanto, 55 anni, infermiere in servizio a bordo del 118.
Ancora in fase di accertamento la dinamica del terribile impatto, anche se pare che lo scontro sia avvenuto proprio a causa delle condizioni del manto della carreggiata reso viscoso da uno strato di fanghiglia, compromettendo la tenuta di strada degli autoveicoli. Montesanto viaggiava a bordo di un Opel Corsa. L’altra autovettura coinvolta nell’incidente è una Fiat Punto. A guidarla una trentenne di Tropea, F.M., che è stata ricoverata in ospedale, ma le sue condizioni non desterebbero preoccupazioni.
Erano circa le 7.30, e come ogni giorno l’infermiere si stava recando sul posto di lavoro, all’ospedale di Tropea, dove avrebbe preso servizio a bordo dell’ambulanza del 118. A soccorrerlo, subito dopo il tremendo impatto, i suoi stessi amici e colleghi in servizio alla Suem. Per loro un colpo a cuore vedere il proprio amico privo di sensi all’interno dell’auto accortocciata. Mentre l’altra persona coinvolta nel sinistro veniva trasportata all’ospedale di Tropea- in quanto le sue condizioni sin da subito non sono state giudicate così gravi da comprometterne la vita- per Salvatore Montesanto è apparso subito chiaro che non c’era più nulla da fare. La morte è, con ogni probabilità, giunta nell’immediatezza dell’impatto. L’elicossorso, tempestivamente giunto sul posto, era pronto a trasportarlo ovunque gli potessero salvare la vita, ma se n’è tornato alla base senza poter compiere la sua missione salvifica.
Salvatore Montesanto era un uomo e un professionista stimatissimo e molto ben voluto. Una stima e un affetto ben riposti per le sue spiccate doti umane, per l’innata bontà, l’altruismo e la grande professionalità nello svolgere il suo delicato lavoro.
Originario di Nicotera, da molti anni viveva nella vicina Limbadi, con la moglie e i due figli, Giuseppe, che si era specializzato da poco in Radiologia  e Gabriella, che a maggio avrebbe dovuto sposarsi. Una famiglia unita e felice che il destino, in una manciata di minuti, ha catapultato in una frastornata disperazione, nell’incapacità di dare un perché a una tragedia simile. Man mano che la notizia giungeva nelle case dei parenti e degli amici, l’obitorio dell’ospedale di Tropea, dove la salma dell’infermiere è stata trasportata, si è riempito di persone. Trattenere le lacrime era impossibile, perché, dicono i suoi amici, “Salvatore era un angelo, sempre pronto ad aiutare chiunque, la bontà e l’altruismo fatto persona”. Il suo corpo giaceva su un letto di marmo, il viso perfetto, sereno, come se dormisse, con quel dolce sorriso delineato sul volto, come chi già contempla il Paradiso. Profondamente scosse le comunità di Nicotera e Limbadi, mentre per l’Asp di Vibo “una perdita gravissima sotto il profilo umano e professionale”, queste le parole del direttore del 118, Antonio Talesa.

Mileto. Marijuana nascosta nel cimitero.


Mileto. Finora la marijuana era stata rinvenuta dappertutto. Negli appartamenti, sui terrazzi, nelle case dismesse, nelle borsoni e negli anfratti dei centri storici dei paesi. Non era ancora però stata trovata dei cimiteri, dove qualcuno l’ha nascosta. Il camposanto in questione è quello della cittadina di Mileto, sito nei pressi della frazione Paravati. Qui i carabinieri della città normanna, con l'ausilio di un’unità cinofila antidroga, hanno eseguito una serie di perquisizioni alla ricerca di sostanze stupefacenti.
L’iniziativa di ieri nasce sul solco di quella già messa a segno dal Comando provinciale di Vibo Valentia la scorsa settimana. In quella occasione, le Forze dell’ordine hanno rinvenuto tra i loculi e le edicole sacre una notevole quantità di marijuana. Verosimilmente, il possessore della droga riteneva il cimitero un luogo sicuro dal monitoraggio dei Carabinieri. Un’inventiva e una necessità di aggirare i controlli che non ha avuto rispetto nemmeno per i morti. Gli inquirenti continuano ad indagare servendosi anche di eventuali impianti di videosorveglianza.