Nicotera.
Cos’ha
che non va un paese che non riesce ad azzeccare un’amministrazione giusta? Le
ultime tre, dal 2005 ad oggi, sono finite sotto la lente di ingrandimento della
prefettura, che ne ha chiesto al Ministro dell’Interno lo scioglimento per condizionamento
mafioso. Probabilmente sono i cittadini che non hanno saputo individuare i
giusti candidati, o avranno seguito pessimi consigli, sta di fatto che adesso
tutti sono tenuti a scontare una colpa collettiva e a fare i conti con l’odioso
stigma di mafiosità. E accanto all’onta, Nicotera, in questo decennio, ha
dovuto confrontarsi con un degrado senza precedenti. Il turismo quasi non
esiste più. Al netto del villaggio Beach Village, che resiste allo sfacelo, le
cose vanno decisamente male. Lo stesso dicasi del piano ambientale, il quale è
strettamente legato al mancato rilancio del turismo nicoterese. Ma è della
questione sicurezza che ci occuperemo in questo articolo. Un tema strettamente
legato al controllo e alla tutela di un territorio difficile, ma anche alla
necessità i cittadini si sentano più sicuri, il che non è semplice in un
territorio che sembra quasi essere al centro di un oscuro disegno criminale: parrebbe
quasi che qualcuno abbia deciso che questo territorio divenga una specie di
area 51, o una di quelle lande desolate e insicure di alcuni Paesi
latino-americani, crocevia e zone strategiche in cui transita di tutto. Qual è
il livello della sicurezza a Nicotera? A dirlo, nel modo più esaustivo
possibile, sono i fatti. Nicotera, paese di mafia, l’ultimo della provincia di
Vibo Valentia, confina con Rosarno, altra capitale della mafia calabrese.
Eppure, nonostante lo Stato abbia certificato la pervasività della mafia, la
città, in questi dieci anni, non ha mai visto potenziata, in termini di unità,
la locale stazione dei Carabinieri, né si è mai pensato ad un distaccamento del
Commissariato di Polizia. D’altra parte, gli amministratori succedutisi negli
anni non si sono attivati per ottenere i fondi necessari per l’impianto di
video sorveglianza. La città, intanto, non si è fatta mancare niente: dalle
rapine agli atti vandalici, mentre una menzione speciale spetta al ferimento a
colpi di fucile di una giovane barista in pieno centro storico. Ma forse in
cima alla top ten troviamo il famoso atterraggio dell’elicottero in piazza
Castello. Un episodio gravissimo che ha dimostrato quanto ben radicato sia il
senso del disprezzo delle regole e della legalità. Il senso di insicurezza è
forte e nel contempo i cittadini perbene fanno fatica ad alzare la testa e ad
opporsi a una cultura del silenzio e della rassegnazione. Questo è l’humus in
cui nascono e crescono i futuri amministratori nicoteresi. C’è bisogno di una
rivoluzione culturale, ma soprattutto di sentire una più energica azione dello
Stato, azione che non sempre collima con uno scioglimento di un consiglio
comunale. Là dove tale provvedimento non è seguito da più approfonditi
accertamenti investigativi, là dove non si ode il tintinnìo delle manette che
permette di epurare la pubblica amministrazione da quelle sempiterne mele marce,
di rado uno scioglimento può portare benefici concreti alla comunità. Restando
in tema di scioglimenti, è doveroso sottolineare gli inspiegabili ritardi con
cui arrivano questi interventi dello Stato. Si sa, ad esempio, che la giunta
Pagano è sempre stata guardata con sospetto dalla prefettura: prova ne sono le
continue visite dei militari dell’Arma e della Guardia di Finanza a palazzo
Convento, già all’indomani del suo insediamento. Prova ne è il fatto che il
giorno successivo il feroce attentato subito dallex sindaco Franco Pagano l’allora
prefetto Michele Di Bari non si presentò al consiglio comunale straordinario
indetto sul tema. Un anno dopo, con l’arrivo del prefetto Giovanni Bruno,
trapelò la notizia che destabilizzò ancora una volta palazzo Convento secondo
la quale era imminente l’arrivo della commissione di accesso. Poi nulla di
fatto. Un anno e mezzo dopo, subito dopo l’insediamento nell’ufficio
territoriale del Governo, dell’attuale prefetto Carmelo Casabona, la
Commissione di accesso agli atti si materializzò nella casa municipale. La
gestazione investigativa durò dieci mesi e la notizia dello scioglimento è di
pochi giorni fa. Una compagine politica e amministrativa dunque che, benché
pesantemente sovrastata dal sospetto prefettizio, ha avuto ben quattro anni di
tempo per gestire appalti e maneggiare il denaro pubblico, coprire il
territorio di manufatti cementizi di cui francamente non se ne sentiva la
necessità. Ma soprattutto non ha mai provveduto a rendere più sicuro il
territorio, mentre i continui appelli ad attivare l’impianto di video
sorveglianza sono caduti nel vuoto.
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