Drapia.
Benchè
la cronaca ci ricordi quasi ogni giorno tutti i mali che affliggono il
vibonese- dal traffico di cocaina alle piantagioni di marijuana alla mala
gestione della cosa pubblica- esiste una realtà in questo territorio spesso non
degnamente presa in considerazione. Parliamo delle incredibili risorse
enologiche e gastronomiche che si nascondono tra le pieghe di una realtà di cui
si conosce solo un volto drammatico e avvilente; di quelle risorse molte volte
colpevolmente non valorizzate. Ad esempio, la piccola Brattirò, frazione del
Comune di Drapia, che si erge sul cocuzzolo di un versante favoloso che digrada
verso il mare azzurrissimo di Capo Vaticano, gode di una salda tradizione
gastronomica ed enologica. Il territorio è, da tempi immemorabili, ricchissimo
di vigneti. La sua uva, capace di mantenersi rossa e viva da settembre fino a
Natale, saldamente attaccata al trancio, nei secoli, ha sempre donato un vino
rosso e corposo che arricchiva le tavole dei contadini e dei signori. Ora,
questa antica tradizione, è stata sapientemente ripresa- dopo una battuta di
arresto, voluta dalle logiche delle normative della comunità economica europea.
A riportare in vita una tradizione secolare creando un vino tutto nuovo è un
signore che, non a caso, si chiama Alfonso Rombolà. A Brattirò, infatti, il
settanta per cento della popolazione porta questo cognome. Un paesino, dunque, dove
quasi tutti sono legati da un filo parentale sottile, ma, soprattutto,
possidenti di vigneti con dell’uva straordinaria la cui sapiente mistura ha
dato vita a un prodotto nuovissimo: il vino “Trupìa”, il cui nome vuole essere
un omaggio alla bellissima Tropea nella sua definizione dialettale, nonchè
l’abbattimento di ogni forma di campanilismo. Ma andiamo con ordine. Tutto
cominciò dodici anni fa. A Brattirò, su impulso delle leggi europee, i
moltissimi vigneti che arricchivano il territorio era stati distrutti dagli
stessi possidenti. Per garantire maggiore competitività tra i vari Stati
dell’Unione, l’Europa elargiva incentivi di 15 mila euro a chi tagliava il
proprio vigneto. Ettari ed ettari di vigneti andarono così perduti: i contadini
non avevano più i mezzi per curare le terre e i figli proiettavano il loro
futuro nello studio o in altre attività che non contemplavano l’agricoltura. Ma
dodici anni fa accade un fatto destinato a risollevare le sorti dell’enologia
del territorio: Alfonso Rombolà, insieme ad alcuni cugini ed amici, pensò di
fondare una cooperativa il cui scopo era quello di creare una nuova qualità di
vino. Rombolà, laureato in Agraria, si è specializzato in enologia con il
professor Vittorino Novello. La sua era dunque una vera passione suffragata da
un intenso studio in tale settore. L’esperimento riuscì benissimo, ma non fu un’impresa
lampo: infatti la formula segreta che ha dato vita al prezioso vino “Trupìa” è
rigorosamente tenuta segreta. Di esso si sa solo che è nato dall’attenta
mistura di tre tipi di uva rossa autoctona: il “mangiaguerra”, il “magliocco
canino” e il “magliocco dolce”, e da una di importazione: Cabernet-sauvignon,
di origine bordolese. Dalla combinazione dei quattro vitigni (ognuno con una
specifica percentuale) è nato il vino che è apprezzatissimo nei migliori
ristoranti lombardi, oltre che nel Vibonese, mentre si moltiplicano gli
acquirenti tedeschi ed israeliani. Il “Trupìa” invecchiato in barrique di
rovere va fortissimo ed è sempre più richiesto, ed è ovviamente l’orgoglio di
un intero paese. Ma ciò che rende ancora più motivati i soci della Cooperativa
è che molti giovani del paese sono affascinati dall’avventura enologica dei
loro intraprendenti compaesani e molti di loro si stanno riavvicinando alla
tradizione enologica del territorio. Ormai certi che l’agricoltura- insieme al
turismo- è il vero futuro del territorio che ha bisogno del giusto riscatto.
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