sabato 18 aprile 2020

Non di solo coronavirus si muore. I residenti di Corso Medameo rischiano il cancro al polmone: tetto di eternit si infrange sistematicamente al suolo.



 Nicotera. Non solo il coronavirus può uccidere, ma anche il cancro al polmone, in specie quello causato dall’inalazione di polvere di amianto. E il rischio di ammalarsi di uno dei carcinomi più letali i cittadini residenti in Corso Medameo lo corrono tutti i giorni, dato che un antico palazzo nobiliare ormai da due mesi perde pezzi, a cominciare dall’enorme copertura in eternit. L’edificio, che pare appartenga a una delle tante famiglie aristocratiche di Nicotera, è ormai eroso dai segni del tempo. I problemi strutturali ne minacciano la tenuta e l’antica magione potrebbe cedere da un momento all’altro. La facciata si sgretola ogni giorno di più: i pezzi si staccano dal frontone rovinando al suolo; ma a preoccupare di più è il cedimento del tetto d’amianto, dato che disintegrandosi in infiniti frammenti, si trasformano in un vero e proprio attentato alla salute pubblica. 
I residenti dell’area, comprensibilmente preoccupati, hanno più volte allertato il Comune, rendendo il sindaco Giuseppe Marasco edotto dei gravi pericoli per la salute a cui sono esposti. Ma per ora, a quanto pare, nulla si è mosso. Solo due giorni fa è sbucato fuori un segnale di divieto d’accesso all’ingresso del corso, perché la zona interessata ai crolli è stata circoscritta con del nastro segnaletico. Per fortuna, qualcuno si è reso conto che, se disgraziatamente la facciata dell’antico palazzo cedesse, sarebbe un disastro; intanto, ogni alzata di vento trasporta per ogni dove la sottile polvere d’amianto, come schegge di morte. 
Dopo le tante insistenze da parte dei residenti, nonché i continui inviti al sindaco di prendere dei provvedimenti, finalmente due giorni fa sulla scena del delitto si è materializzato l’assessore ai Lavori Pubblici, Marco Vecchio. La sua dichiarazione è stata laconica: «Abbiamo avvisato i proprietari; sono loro a dover mettere in sicurezza l’edificio, a cominciare dalla rimozione del tetto d’amianto».

Le cose, insomma, potrebbero andare per le lunghe. Anche perché si tratta di immobili inseriti in un quartiere storico, e quindi è doveroso tutelare anche l’intero contesto architettonico in cui è inserito. Sono lavori dunque che potrebbero avere dei vincoli architettonici piuttosto severi. Per il momento, ciò che appare urgente è la rimozione della copertura di eternit e la messa in sicurezza della facciata, onde evitare che l’amianto non mieta vittime e che qualche povero malcapitato rimanga travolto da una pioggia di calcinacci. A questo punto, spetta al Comune risolvere in breve tempo il problema, costringendo i proprietari dell’edificio ad agire tempestivamente.
Secondo la normativa vigente, il Comune deve formalmente invitare i proprietari dell’immobile a porre in essere la sicurezza dell’edificio, fornendo una precisa data di scadenza. Nel caso in cui, costoro non adempiano all’obbligo previsto dalla legge, l’ente può acquisire l’immobile e procedere così con la ristrutturazione. I proprietari, dunque, qualora non provvedano alla messa in sicurezza, perderanno il bene che passerà nelle mani del Comune. Intanto, l’ente è tenuto a salvaguardare la cittadinanza sia per quanto riguarda l’esposizione alle polveri d’amianto, sia per eventuali cedimenti strutturali. Le spese saranno poi addebitate ai possessori dell’immobile, qualora vogliano  rimettere in sesto l’edificio.

venerdì 3 aprile 2020

E' risultato negativo al coronavirus il nicoterese positivo al Covid.


Nicotera. E’ risultato negativo al Coronavirus, l’unico cittadino Nicoterese positivo al Covid, che era rientrato a Nicotera da una località turistica del Nord Italia il 13 marzo scorso. All’uomo, 60 anni, di professione chef, appena rientrato a Nicotera, era stato effettuato il tampone: l’esito aveva dato quella risposta che nessuno vorrebbe mai ricevere. Lo chef, tuttavia, al suo arrivo in paese si era posto immediatamente in quarantena, né ha incontrato i suoi parenti. Un lunghissimo periodo di isolamento che adesso si conclude nel migliore dei modi. A comunicarlo, sulla sua pagina Facebook, il diretto interessato al quale sono stati rivolti, dai suoi compaesani, centinaia di messaggi di auguri ed esternazioni di gioia.  Un chiaro segno di speranza per tutti e un nuovo inizio per lo chef nicoterese.

martedì 31 marzo 2020

Cosa trasforma un ragazzo d'oro in uno spietato assassino? Il feminicidio di Furci Siculo.






E’ difficile comprendere cosa possa trasformare un “bravo ragazzo” in uno spietato assassino. L’animo umano, si sa, è un abisso imperscrutabile che non permette di scorgere le motivazioni segrete che azionano  certe molle. Ma non si può non restare basiti quando Raffaele Scaturchio, sindaco di Dasà, paese d’origine di Antonio De Pace, reo confesso dell’omicidio della sua fidanzata, Lorena Quaranta, racconta, in preda alla costernazione, che non avrebbe mai e poi mai potuto immagine che Antonio si potesse macchiare di un delitto simile. Il sindaco di questo paesino di poco più di mille anime, non se la sente di rilasciare dichiarazioni: la ferale notizia ha lasciato tutti di pietra. Il paese è piccolo, si conosco tutti, e il primo cittadino conosceva bene Antonio. Tra l’altro il fratello, Francesco, fa parte della sua compagine amministrativa. Le parole del sindaco, sono poche, pochissime, ma fanno riflettere: “Antonio è un ragazzo d’oro, buono, gentile, educato. Questa notizia ci ha colto tutti di sorpresa, perché da lui non ci saremmo mai aspettati un’azione del genere”. Anche la famiglia di Antonio, spiega ancora il primo cittadino, è una famiglia perbene, di onesti lavoratori. 
Il padre è infermiere in pensione, la sorella infermiera pure lei. Anche Antonio ha intrapreso la stessa strada. Niente, dunque, faceva prevedere una tragedia simile. Eppure, la cronaca insegna che la realtà non è mai ciò che sembra e che, evidentemente, acquattato da qualche parte nell’animo di quel “ragazzo d’oro” c’era un assassino, un uomo che ha ucciso, strangolandola, la donna che diceva di amare. Tutto è successo nella mattinata del 31 marzo.Il furore omicida è esploso al culmine di una lite. Un omicidio d’impeto, verrebbe da dire, ma saranno i carabinieri della stazione di Santa Teresa Riva, al comando del luogotenente Maurizio La Monica e della compagnia di Taormina, guidata dal capitano Arcangelo Maiello a ristabilire la verità e a ricostruire gli ultimi momenti di vita della povera Lorena. 

De Pace, subito dopo l’orrendo delitto, ha avvisato i Carabinieri, ammettendo la sua colpa, e poi ha tentato il suicidio: quando i militari dell’Arma sono arrivati sul posto hanno trovato la ragazza ormai priva di vita, e il suo carnefice in stato di choc con delle ferite ai polsi e alla gola. Le sue condizioni non desterebbero preoccupazioni. Il giovane è attualmente ricoverato e piantonato al Policlinico di Messina. 
L’omicidio, con ogni probabilità, è avvenuto nella mattinata di ieri, all’interno di una villetta di via delle Mimose (tragica casualità, fiore simbolo delle donne e delle loro battaglie contro la violenza di genere) di Furci Siculo, in cui i due convivevano. Lorena era una di quelle donne che non si risparmiava nelle iniziative volte alla tutela non solo delle donne ma anche dei più deboli. Stava per conseguire la laurea con una tesi sulla Pediatria, campo in cui ambiva a specializzarsi. Era di una bellezza da togliere il fiato, Lorena, alta, mora, occhi chiari, “sembrava una modella”, ha raccontato il sindaco di Dasà, che Lorena l’aveva conosciuta, perché Antonio la portava spesso nel suo paese natale. Ma anche Antonio era un ragazzo da copertina. 28 anni lui, 27 lei. Sembravano una coppia uscita da un romanzo rosa: due fidanzati, belli, innamoratissimi, lanciati verso il successo e il coronamento dei loro sogni. Lei adorava il suo Antonio: quando il 31 ottobre 2019 era stato ammesso in Odontoiatria, dopo aver conseguito la Laurea in Scienza infermieristiche, lei, piena di felicità, aveva pubblicato un messaggio sulla sua pagina Facebook: “Buon nuovo inizio, campione”, con un corredo di cuoricini. 

Ma forse sotto quella patina di dorata qualcosa minava la stabilità del rapporto.
Lorena, che si era trasferita a Messina per motivi di studio, era originaria di Favara, popoloso comune in provincia di Agrigento. Così la sindaca Anna Alba, ha espresso tutto il suo dolore appena appresa la notizia: “Favara oggi si è svegliata fra le lacrime. Ho appreso stamani la tragica notizia della prematura scomparsa della nostra concittadina Lorena, per mano di un gesto vile, ignobile. Favara vive la tragedia nella tragedia. La nostra comunità si stringe al dolore della famiglia Quaranta”.
Non ha parole invece Marco Vetro, amico di sempre e parrucchiere di Lorena, “sono distrutto”, dice, “Lorena e la sua famiglia persone speciali”.

L'Asp divulga i dati relativi ai contagiati nel Vibonese. E' caos: i positivi sembrano triplicati. L'Asp chiarisce: considerare solo i numeri in rosso.


Grande preoccupazione hanno suscitato i dati pubblicati dall’Asp nella giornata odierna in merito al monitoraggio sanitario sul coronavirus. Il numero dei soggetti positivi, infatti, relativi ad ogni Comune sembrano essere drammaticamente lievitati, e ciò perché nella tabella, oltre ai numeretti rossi che indicano le persone positive, vi sono altri numeri rilevanti i “sintomaci” e gli “asintomatici”. Un dato che lascia intendere che i soggetti positivi all’infezione siano il doppio, in quanto i termini sintomatici e asintomatici richiamano alla positività all’infezione. Così Nicotera ha improvvisamente scoperto che positiva al Covid19 non sarebbe solo una persona, come era noto a tutti, bensì addirittura 11. Lo stesso dicasi, ad esempio, di Ricadi dove i contagiati da uno sarebbero diventati 33.
Decine le chiamate all’Asp: l’Azienda sanitaria provinciale ha chiarito che la lettura di questi dati non deve allarmare in quanto i numeri in tabella accanto a quelli di soggetti positivi (evidenziati in rosso) sono quelli relativi alle persone messe in quarantena perché rientravano dal Nord Italia, e non di soggetti contagiati dal Covid19. Per fugare ogni dubbio, domani l’Azienda pubblicherà una nuova tabella, più chiara ed esaustiva, che possa essere consultata senza ingenerare dubbi ed equivoci.
I numeri, quindi, relativi a persone positive al coronavirus sono quelli in rosso. Tutti gli altri riguardano soggetti non positivi ma posti in quarantena.

sabato 28 marzo 2020

Tutti negativi al Coronavirus i dipendenti comunali e i componenti dell'amministrazione Marasco, dopo la notizia che una dipendente era risultata positiva all'infezione.


Nicotera. Sarebbero tutti negativi al Coronavirus i dipendenti comunali e gli amministratori del Comune medmeo, dopo che si è appreso che una dipendente comunale residente nel reggino era risultata positiva all’infenzione. La notizia aveva mandato in allarme i dipendenti e i componenti dell’esecutivo in carica, preoccupati del fatto che avrebbero potuto essere stati contagiati. Tuttavia, a tranquillizzare gli animi il fatto che la dipendente comunale era stata a Nicotera, per l’ultima volta, il 10 di marzo. Il 22 marzo è emersa la notizia della positività della signora di Gallico. Date rassicuranti per dipendenti e amministratori, visto che i tempi di incubazione del virus, secondo quanto stabilito dagli esperti, è al massimo di 14 giorni. In ogni caso, è stato effettuato il tampone agli impiegati e ai membri della squadra Marasco.
Adesso sono finalmente arrivati gli esiti degli esami a convalidare le speranze degli interessati e dei loro familiari. Un incubo finito, dunque, non solo per loro ma anche per tutta la cittadinanza nicoterese.

mercoledì 25 marzo 2020

Un'imprenditrice di un'agenzia funebre di Bergamo racconta il dramma "dello smaltimento delle salme". "Noi lasciati senza tutele".




BERGAMO. In questo momento così difficile, che probabilmente resterà impresso a caratteri di fuoco nella memoria collettiva degli italiani, c’è una categoria di operatori di cui si parla pochissimo, ed è quella degli impresari delle agenzie funebri. Sono loro a svolgere la parte più triste, quella a contatto con il post mortem, con il dolore dei familiari, con una salma da portare via, verso la tumulazione o verso la cremazione, senza cerimonia religiosa, senza quel rito funebre che sancisce e accompagna l’ultimo saluto al proprio caro e da cui inizia l’elaborazione del lutto. Ai morti stroncati dalla pestilenza del nuovo millennio per ragioni di praticità e profilassi è negato quel decoro riservato a chi moriva in tempi cosiddetti normali. E sono proprio gli impresari funebri a dover fare i conti con questa realtà. A raccontare un dramma che sembra non aver fine  è la titolare dell’onoranze funebri “Regazzi” di Bergamo. «Siamo allo stremo», dice l’imprenditrice, «perché non riusciamo a far fronte a una situazione emergenziale ormai insostenibile»; ma a venire meno, ascoltando quella voce triste dall’altra parte del telefono, sono anche le forze emotive, psicologiche, anche per chi ha a che fare tutti i giorni con la morte. La situazione è collassata, e le pompe funebri non riescono “a smaltire” (terribile verbo, ma trovarne altri che rendano l’idea è impossibile) tutte le richieste. A decine, ogni giorno. «La cosa che più ci fa male», racconta ancora la titolare, «è non poter dare decoro alla morte, non poter allestire quella cerimonia dell’addio, non poter rendere solenne e decoroso quel momento». «Ci chiamiamo onoranze funebri proprio perché “onoriamo” il defunto, questo è il nostro ruolo». Ma adesso, però, non è più così. Sia per le persone morte a casa o in ospedale, la procedura è sempre la stessa: tutto si svolge velocemente e con la massima cautela per evitare il contagio. Il defunto viene infilato in un sacco in fretta e furia, così com’è, senza cioè la vestizione, perché sarebbe troppo rischioso per gli operatori. Dal sacco nella bara e, dopo l’accertamento di morte da parte del necroscopo, il feretro viene sigillato e destinato alla tumulazione o alla cremazione. Le salme vengono poste in un capannone a Ponte San Pietro, in attesa di essere portate via; qui ricevono una veloce benedizione dal sacerdote. Molte di esse sono destinate alla cremazione, ma poiché i forni crematori lombardi sono ormai al collasso, il comune ha disposto il trasferimento altre città. A provvedere al trasporto è l’esercito e l’immagine della luttuosa marcia dei camion militari carichi di bare verso i templi crematori è rimasta impressa negli occhi di tutti. Un addio straziante, senza conforto e consolazione. «Le famiglie- racconta ancora l’imprenditrice- vedono portato via dall’ambulanza il proprio caro che sta male, ma non lo rivedranno più, perché glielo riconsegneranno in un’urna». Un distacco feroce, di cui, a parere dell’imprenditrice, le famiglie ne avvertiranno lo choc solo dopo che tutto questo sarà finito.
Gli impresari funebri, oltre a guardare in faccia la tragedia e gli occhi smarriti di chi perde così i propri cari, devono farsi carico di tutte le incombenze burocratiche che sorvegliano la morte. Il disbrigo di tali pratiche è completamente a loro carico: servono firme e autorizzazioni a non finire e sono loro a girare per gli uffici a completare i certificati, senza i quali non si può procedere allo smaltimento della salma. La burocrazia è rimasta quella che era, complessa, snervante e indifferente di fronte a un caos come questo. «Molti impresari- aggiunge la titolare- sono malati o in quarantena, e quindi non possono più svolgere tali importanti mansioni. Molti sono costretti a rifiutare le tante chiamate».
C’è il rischio concreto, per la scarsità di operatori, che a qualcuno rimanga a casa il morto per giorni, com’è successo a una donna: le è morta la madre, a casa, il 22 marzo, ma solo il 25 si è potuto provvedere a rimuovere la salma. La situazione si fa sempre più complicata per questi lavoratori, i quali ormai non sono più dei lavoratori autonomi ma svolgono un servizio di pubblica utilità senza però avere le tutele garantite dall’Asp. L’equipaggiamento per proteggersi dal virus è dunque tutto a carico degli impresari. «Noi non stiamo più facendo il nostro lavoro- spiega la titolare dell’Agenzia Regazzi- ci stiamo occupando di smaltire le salme, e lo stiamo facendo esponendoci a grandi rischi». L’Azienda sanitaria provinciale di Bergamo non dà loro né tute, né mascherine. E poiché adesso scarseggiano stanno usando quelle fatte in casa, che sono utili, ma sicuramente proteggono meno. Da parte dell’Asp nemmeno delle direttive, o due parole messe in croce per questi lavoratori. «Le uniche direttive che abbiamo ricevuto- sottolinea l’imprenditrice- sono quelle delle associazioni di categoria, attraverso un’email». «Molti colleghi ci chiamano dal Sud Italia e si dicono preoccupati perché se dovesse accadere anche al Sud ciò che sta accadendo a Bergamo, non saprebbero come gestire la situazione». Una preoccupazione più che legittima visto e considerato che la categoria in questione non è degna di particolari attenzioni governative, in questo delicato frangente. Eppure, il ruolo da loro svolto è difficile, rischioso e assolutamente indispensabile. Senza di loro vivremmo un dramma nel dramma. 
Un’evenienza che non è fantascienza, dato che molte imprese funebri non rispondono più alle chiamate delle famiglie: non hanno più mezzi e protezioni per svolgere queste mansioni.