giovedì 17 aprile 2014

L'addio ad Anita (edizione regionale).


Limbadi. Un vero e proprio bagno di folla ha accompagnato la piccola Anita nella chiesetta della Madonna delle Nevi, dove alle 15.30 si è celebrato il funerale.
Un corteo interminabile ha seguito la piccola bara bianca. In molti a Mandaradoni hanno voluto stringersi intorno a una famiglia colpita da una tragedia cui è difficile dare un senso. Venerdì scorso, la piccola Anita all’uscita dall’asilo, è stata travolta un’automobile. Un impatto violentissimo ha strappato la piccola dall’affetto dei suoi cari. Nello stesso momento, in altre parti del mondo, per altri bambini rinasceva la speranza. Si perché, i suoi genitori, guidati da una fede incrollabile e da incredibile generosità, hanno deciso di donare gli organi della loro creatura. Anita, ha perso in un attimo la vita e il futuro, ma ha saputo ridarli ad altre persone, altri bimbi malati in questi giorni hanno riacquistato la speranza di poter vivere una vita migliore. La piccola ha elargito ampiamente il suo dono d’amore: Roma, Genova, Torino, Padova e Londra. Qui delle vite sono state salvate. E la certezza che la morte della loro figlia sia stata principalmente un dono d’amore, è la forza che aiuta mamma Domenica e papà Vittorio a sopportare un dolore inconcepibile.
La cerimonia funebre è stata officiata da don Enzo Lazzaro, zio di Anita. Presenti anche altri tre sacerdoti dei paesi limitrofi. Un intero paese in lacrime ha condiviso il dramma della famiglia della piccola. Perché vivere in un paesino è come vivere in una grande famiglia dove la tragedia di uno è la tragedia di tutti.
Intanto proseguono le indagini disposte dal pm in merito alla dinamica dell’incidente. Quel che si sa, per il momento, è che l’investitore sembra non darsi pace, e che un dramma, a volte, ha diverse sfaccettature e colpisce trasversalmente tante persone.
Toccanti le testimonianze delle persone che conoscevano la piccola. Su tutte, quelle della maestra Tina Luppino, ha raggiunto i cuori di tutti: l’insegnante ha raccontato la gioia di vivere e l’allegria di una bambina dolcissima. Delicato il compito del sacerdote don Enzo Lazzaro, che è anche lo zio di Anita. A lui il compito delicato di conciliare il ruolo di sacerdote con quello di zio: di dire le parole giuste, di commentare il Vangelo dando un senso cristiano alla tragedia che ha visto protagonista la nipotina, e, nello stesso tempo, vincere il dolore del lutto e l’umana disperazione.
Terminata la funzione religiosa, centinaia di palloncini bianchi sono volati in cielo all’uscita del feretro. La sorellina più grande di Anita, Lucia, vinta dal pianto, ha fatto volare una colomba bianca. Scena struggente che ha parlato di un addio troppo prematuro che una sorella deve rivolgere a un’altra sorella, di un incontro ravvicinato con il lato assurdo e crudele della vita. Un funerale pieno di silenzio, un silenzio fatto di rispetto e compostezza. Un ultimo saluto a una bambina bellissima.
Il sorriso di Anita, il suo volto dolcissimo campeggia su ogni angolo del territorio, tra Nicotera e Limbadi. La piccola osserva dai manifesti funebri i viandanti di passaggio. Piano piano la pioggia e le intemperie sbiadiranno quel visetto dolce e spensierato, ma la tristezza per una tragedia terribile difficilmente sbiadirà, specialmente nel cuore dei suoi cari.

Anita: ricordi e testimonianze .




Limbadi. Toccanti testimonianze della piccola Anita da parte delle tantissime persone presenti alle esequie. In un piccolo paesino di trecento anime, com’è Mandaradoni, dove tutti si conoscono, in molti hanno un ricordo da offrire della sfortunata bambina e della sua famiglia, una famiglia perbene. Persone buone e semplici, mamma Domenica e papà Vittorio, dediti al lavoro e alla crescita delle figlie. Anita era una bambina allegra e dolce, ricorda chi la conosceva. La cugina Valentina ci mostra un delizioso disegno, realizzato dalla piccola e regalatole come un trofeo d’amore, come fanno orgogliosamente i bambini quando vogliono manifestare il loro affetto: raffigura un cuore con dentro tre persone, una è la stessa Anita, poi Valentina e la sorellina maggiore Lucia. Anita amava disegnare e regalare le sue creazioni. Dell’ultimo disegno da lei realizzato, raffigurante una colomba in volo, ha parlato la sua maestra, Tina Luppino nel corso delle esequie. L’insegnante ha voluto ricordarla e salutarla, anche a nome dell’intera scuola, dei compagni, della preside. Ha ricordato, con la voce spezzata dal pianto, quando lo scorso Natale, nella recita della scuola, Anita ha impersonato la Madonna, la prescelta del Signore. «In classe conserverai il tuo posto, ma anche nel nostro cuore», ha concluso l’insegnante.
Anche da parte dello zio, don Enzo Lazzaro, parole bellissime e forti, che hanno indotto la muta platea, dentro e fuori la chiesa, a riflettere sul senso del dono, ma anche del silenzio di Dio: «ma proprio nel silenzio esplode la sua presenza», e di come il dolore sia la salvezza del mondo. «L’umanità è salvata dalla Croce» ha ricordato don Enzo, volendo con questo sottolineare quanto «il sacrificio di sé sia un sacrificio d’amore». E in questo senso va letta la morte della piccola Anita, come un sacrificio d’amore. Lo zio ha salutato la nipotina, ricordando quando un giorno gli confidò che da grande voleva diventare una star. Una stella in effetti lo è diventata, forse troppo in fretta: nell’universo sconfinato già brilla, lontanissima e luminosa.

L'ultimo saluto alla piccola Anita.





Limbadi. Questa è una di quelle storie che un cronista non vorrebbe mai raccontare. E’ la cronaca del funerale della piccola Anita, prematuramente mancata all’affetto dei suoi genitori e delle sorelline nel bel mezzo di un aprile crudele.  
Fin dalle primissime ore del pomeriggio moltissime persone sono giunte a Mandaradoni ad offrire cordoglio e vicinanza alla famiglia della bambina. In tanti hanno atteso che la piccola bara bianca lasciasse la casa dove Anita ha vissuto la sua breve vita. Un vento freddo e sferzante soffiava inclemente, il sole sembrava nascosto dai drappi bianche delle nuvole e improvvisamente è sembrato novembre. E così sotto un cielo vestito insolitamente d’autunno ha avuto inizio il corteo funebre. I sacerdoti: don Enzo Lazzaro (zio della bimba, che ha anche celebrato la messa), don Mario Dell’Acqua, don Antonino Loiacono, don Bernardino Comerci e don Angelo Solano,  i chierichetti, alcuni ragazzini che portano corone di rose bianche a forme di teneri cuori, e poi la bara bianca seguita da una moltitudine di gente silenziosa e in lacrime. Il piccolo borgo rurale di Mandaradoni, ha visto sfilare addolorato quella luttuosa marcia, alcuni anziani osservano il passaggio del corteo dalle finestre delle case, con un sguardo carico di tristezza e costernazione, perché si può vivere una vita, ma non ci si abituerà mai alla pena che si prova davanti a una piccola bara bianca. La mesta processione prosegue il suo percorso tra sguardi attoniti. Non sembra soltanto il funerale di una principessa, ma è forse qualcosa in più. Sembra un addio collettivo a un angelo salvatore, una creatura che si è fatta dono estremo per altri bambini. Ben nove persone hanno ricevuto gli organi che lei ha donato, nove vite rinascono da qualche parte e ritrovano speranza e futuro. Per la famiglia affranta si fa strada la luce della consolazione della fede, si cerca di dare un senso alla tragedia e una risposta al più arduo dei perché. E così germoglia la certezza di quella missione d’amore che una bambina dolce e allegra doveva condurre a termine, perché chi salva una vita salva un mondo intero, così recita il Talmud, e questo diventa il senso di una morte incomprensibile: il dono di sè, nel cuore della primavera e della settimana santa. Quando la piccola bara è giunta nella chiesetta della Madonna della Neve, il mesto funerale, si è trasformato in una celebrazione solenne, come quando si spalancano le porte del Paradiso per i prescelti del Signore. Le campane suonavano a festa, centinaia di palloncini bianchi hanno fatto da coreografia ad un atmosfera che improvvisamente non è più sembrata luttuosa. Ma la scena che forse rimarrà impressa a caratteri di fuoco tra gli astanti ha avuto luogo alla fine della messa, quando, deposta la bara al centro del cortile antistante la chiesetta, la sorellina maggiore, in lacrime, ha fatto volare in cielo una bianca colomba, simbolo di un’anima candida che vola via, ma anche di un addio a una sorella speciale, a una compagna di giochi che sicuramente occuperà per sempre un trono d’oro nel suo cuore e nella sua memoria.

venerdì 11 aprile 2014

Fusione Bcc: Maccarone scrive alla Banca d'Italia.



San Calogero. Continua la storia infinita della paventata fusione della Bcc con la consorella di Maierato. L’incredibile vicenda, nata in seguito all’annuncio dell’accorpamento dei due istituti da parte della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo, continua ad arricchirsi di nuovi elementi, fino ad assurgere ormai ai toni avvincenti delle telenovelas, dove alla fine diventa delittuoso perdersi una puntata. Tutto ruota in buona sostanza intorno al No fermo e deciso, pronunciato dai tanti soci in merito all’odiata ipotesi fusione dell’istituto. Dagli incontri dall’atmosfera carbonara, svoltasi nelle gelate stanze dell’ex Saub di San Calogero, tra pochi soci, si è giunti alle lotte in grande stile. E così la storia, cominciata con quattro gatti, è diventata la storia di tutti i sancalogeresi, la storia dei tanti, tantissimi soci che non vogliono la fusione. La storia di un uomo agguerrito che non si dà per vinto, che risponde al nome di Michele Maccarone, che da tre mesi ha rivoltato San Calogero, stanato i cittadini dalle loro case, dando vita a un trambusto popolare teso a salvare la banca simbolo e motore economico della cittadina pedemontana. Insomma un pasionario. L’essere però il salvatore della patria è costato caro a Maccarone. Il cda della banca l’ha infatti espulso da socio, e con lui la sua azienda. Un duro colpo per il noto imprenditore, il quale per tutta risposta si è recato alla Procura di Vibo e, senza tanti giri di parole, ha detto a Mario Spagnuolo che «bisogna appurare cosa c’è sotto il progetto di fusione». Intanto, tentava di riprendere il suo posto di socio nella Bcc. E in questo gran trambusto, tra riunioni, assemblee, cortei, trasferte presso le sedi delle istituzioni, trovava il tempo di scrivere alla Banca d’Italia chiedendo di intervenire nell’annosa vicenda. Ma l’istituto rispondeva di non poter intervenire in tali controversie, e di rivolgersi all’autorità giudiziaria. Insomma, nuovi imperdibili episodi in vista.



Toponomastica. Costo incarico fiduciario tecnico esterno: 13 mila euro. Ma una nuova toponomastica già esiste.







Nicotera. In corso d’opera in questi giorni, nella cittadina costiera, la redazione del piano di aggiornamento della toponomastica esistente, per le nuove vie e numerazione civica. L’incarico fiduciario è stato affidato dal comune al geometra Giuseppe Gallizzi, per la cifra di 13 mila euro. In effetti la città da troppo tempo necessita di una nuova toponomastica, che in alcuni casi non è un semplice aggiornamento, ma si tratterebbe di attribuire delle denominazioni ad aree che ne sono sprovviste. Si pensi ad esempio al quartiere case cooperative, che di fatto non ha una definizione. Eppure quello che è un tentativo di mettere ordine in città, potrebbe invece creare un nuovo caos, per un fatto molto semplice: la toponomastica già c’è, esiste, malgrado il Comune si appresti a realizzarne una nuova. La commissione antimafia con la delibera n. 4 del 19 gennaio 2006 diede incarico a tre studiosi nicoteresi, Pasquale Barbalace, Giuseppe Neri e Domenico Calogero, di redigere la parte squisitamente storico-culturale della toponomastica. I tre esperti profusero il loro impegno a titolo gratuito. La parte tecnica fu affidata al geometra Lello Di Leo.
I quattro professionisti lavorarono sodo per due anni. Nel gennaio del 2008 la toponomastica era pronta, con tanto di placet della Commissione di storia patria.
In particolare, il lavoro del geometra fu assai arduo. Aggiornamento di numerazione civica, aggiornamento cartografico, dello stradario e delle sezioni di censimento. Insomma, tutto il complesso e certosino lavoro oggi affidato al nuovo geometra, Giuseppe Gallizzi. Un incarico fiduciario da parte del Comune il quale però non ha tenuto conto del lavoro svolto dal geometra Di Leo, che nel frattempo è deceduto. Un lavoro finito e consegnato al committente (il comune di Nicotera) e del quale non si mai saputo nulla. Solo adesso, a distanza di molti anni si parla di toponomastica. Si parla di un nuovo geometra, di un nuovo lavoro, di una nuovo corrispettivo (13 mila euro), ma della prestazione professionale del compianto geometra Di Leo non si fa menzione.  
Che ne sarà dell’opera redatta dal professionista quasi dieci anni fa? Di Leo non potrà reclamare più nulla, ma in difesa della sua memoria parla adesso la vedova, Rosa Capria.  E parla in difesa di quel lavoro intenso e minuzioso svolto con passione dal marito. «Che fine farà il lavoro di mio marito? Chiedo rispetto per la sua prestazione professionale. Se una toponomastica già c’è perché farne un’altra ex novo? Io difendo la sua memoria, e non accetto che il suo lavoro venga buttato via. In tal caso gli amministratori dicano cos’ha che non va quanto da lui certosinamente realizzato».
Raggiunta presso la sua abitazione la signora ci mostra i due faldoni contenenti l’accurato lavoro del marito: la carta planimetrica, il lavoro cartografico, persino gli appunti presi in corso d’opera e meticolosamente conservati dalla moglie con infinito affetto.
Inutile sottolineare che Di Leo non ha mai visto un centesimo da parte del Comune. E nemmeno la signora rimasta prematuramente vedova ha mai beneficiato del corrispettivo dovuto al marito. Per lei si riapre il discorso toponomastica ma solo per apprendere che, evidentemente, il lavoro del coniuge è da cestinare. Al via quindi la nuova seconda toponomastica, annunciata con gran clamore.  Mentre la prima giace in un cassetto, insieme alla speranza della signora Capria che l’impegno del marito venga apprezzato e onorato.