Limbadi.
Questa è una di quelle storie che un cronista non vorrebbe mai raccontare. E’
la cronaca del funerale della piccola Anita, prematuramente mancata all’affetto
dei suoi genitori e delle sorelline nel bel mezzo di un aprile crudele.
Fin dalle primissime
ore del pomeriggio moltissime persone sono giunte a Mandaradoni ad offrire
cordoglio e vicinanza alla famiglia della bambina. In tanti hanno atteso che la
piccola bara bianca lasciasse la casa dove Anita ha vissuto la sua breve vita.
Un vento freddo e sferzante soffiava inclemente, il sole sembrava nascosto dai
drappi bianche delle nuvole e improvvisamente è sembrato novembre. E così sotto
un cielo vestito insolitamente d’autunno ha avuto inizio il corteo funebre. I
sacerdoti: don Enzo Lazzaro (zio della bimba, che ha anche celebrato la messa),
don Mario Dell’Acqua, don Antonino Loiacono, don Bernardino Comerci e don
Angelo Solano, i chierichetti, alcuni
ragazzini che portano corone di rose bianche a forme di teneri cuori, e poi la
bara bianca seguita da una moltitudine di gente silenziosa e in lacrime. Il
piccolo borgo rurale di Mandaradoni, ha visto sfilare addolorato quella
luttuosa marcia, alcuni anziani osservano il passaggio del corteo dalle
finestre delle case, con un sguardo carico di tristezza e costernazione, perché
si può vivere una vita, ma non ci si abituerà mai alla pena che si prova
davanti a una piccola bara bianca. La mesta processione prosegue il suo
percorso tra sguardi attoniti. Non sembra soltanto il funerale di una
principessa, ma è forse qualcosa in più. Sembra un addio collettivo a un angelo
salvatore, una creatura che si è fatta dono estremo per altri bambini. Ben nove
persone hanno ricevuto gli organi che lei ha donato, nove vite rinascono da
qualche parte e ritrovano speranza e futuro. Per la famiglia affranta si fa
strada la luce della consolazione della fede, si cerca di dare un senso alla tragedia
e una risposta al più arduo dei perché. E così germoglia la certezza di quella
missione d’amore che una bambina dolce e allegra doveva condurre a termine,
perché chi salva una vita salva un mondo intero, così recita il Talmud, e
questo diventa il senso di una morte incomprensibile: il dono di sè, nel cuore
della primavera e della settimana santa. Quando la piccola bara è giunta nella
chiesetta della Madonna della Neve, il mesto funerale, si è trasformato in una
celebrazione solenne, come quando si spalancano le porte del Paradiso per i
prescelti del Signore. Le campane suonavano a festa, centinaia di palloncini
bianchi hanno fatto da coreografia ad un atmosfera che improvvisamente non è
più sembrata luttuosa. Ma la scena che forse rimarrà impressa a caratteri di
fuoco tra gli astanti ha avuto luogo alla fine della messa, quando, deposta la
bara al centro del cortile antistante la chiesetta, la sorellina maggiore, in
lacrime, ha fatto volare in cielo una bianca colomba, simbolo di un’anima candida
che vola via, ma anche di un addio a una sorella speciale, a una compagna di
giochi che sicuramente occuperà per sempre un trono d’oro nel suo cuore e nella
sua memoria.
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