Nicotera. In tema di dissesto idrogeologico il territorio
nicoterese continua a detenere la maglia nera. E ciò non solo per la
particolarità geologica che lo caratterizza, ma anche perché non sono mai
finora stati posti in essere degli interventi volti a contenere i danni
derivanti dalle piogge dal carattere tropicale. Le uniche iniziative messe in
campo sono quelle derivanti dal risistemare l’area dissestata a danno avvenuto.
Non esistono dunque al momento delle efficaci strategie di prevenzione, anzi su
questo livello siamo all’anno zero.
Come già
ampiamente sottolineato sulle pagine di questo giornale, le aree a rischio
dissesto a Nicotera sono molteplici. Tra i tanti fossi di cui è lastricato uno
di quelli che genera maggiori preoccupazioni è il San Giovanni. Gli interventi
su di esso sono in genere limitati alla pulizia del suo letto da detriti e
vegetazione selvaggia, quasi sempre attuati in seguito alle note di allerta
inviate dalla Prefettura. Ben poca cosa. E lo dimostra il fatto che le acque
alluvionali spesso e volentieri invadono le campagne circostanti rovinando i
raccolti e minacciando i centri abitati. Ma il San Giovanni non è il solo
pericolo del territorio: ve ne sono altri, alcuni nelle frazioni.
In
effetti, lo stato idrogeologico del territorio nicoterese non può certo
definirsi ottimale, anzi, le precipitazioni torrenziali, creano, ogni volta,
non pochi disagi. La cronaca puntualmente informa di smottamenti e frane.
Quello nicoterese è di per sé un territorio altamente esposto ad eventi franosi
e ciò non soltanto per la tipologia argillosa del terreno: la sua posizione
scoscesa, adagiata su una collina quasi a strapiombo sul mare, facilita gli
scollamenti di terreno imbevuto di acqua. Inoltre, esso è caratterizzato da un
reticolo di piccole e grandi fiumane che rendono sempre più instabile la tenuta
dei versanti. Gli stati di massima allerta scaturiscono dalla consapevolezza
della fatiscenza di un territorio sul quale gli interventi di prevenzione sono
inesistenti .
E
a proposito di prevenzione, c’è un dato che merita una riflessione: in Calabria
non si contano gli enti preposti alla difesa del territorio. Le Comunità
montane, i Consorzi di Bonifica, l’Afor, l’Arrsa, l’Arpacal e tutti gli altri
enti territoriali
(i comuni e
le provincie). Tutti, a vario titolo, preposti alla cura del territorio.
Come
abbiamo appena sottolineato il territorio nicoterese è
caratterizzato da un vero e proprio reticolo di fiumane e torrenti, fossi e
canaloni naturali. Ce ne sono un’infinità, e continuano, lentamente e
inesorabilmente, ad erodere il terreno.
In
questo mare magnum di potenziali pericoli per cose e persone, vi sono alcune
aree che meriterebbero un maggiore monitoraggio. Zone assai critiche, delle
quali questo giornale si è sempre occupato: risale infatti a due anni fa, la
scoperta, da parte del Quotidiano di un canalone, in località Agnone, che
potremmo definire semi-naturale (in quanto si è formato da un preesistente
canale di scolo della ferrovia, costruito durante gli anni Venti), e che la
tenacia e la forza delle acque hanno trasformato in una vera e propria voragine
che nei giorni di pioggia riversa ai piedi della collina, e a due passi del
centro abitato, nella sottostante Marina, fango e detriti di ogni genere. Per
tale criticità, lo scorso gennaio, l’assessorato ai Lavori Pubblici della
giunta Pagano aveva approntato e presentato alla Regione un progetto per la
messa in sicurezza di località Agnone. Costo degli interventi 980 mila euro. Ma
di tale progetto nulla più si sa.
Altro
punto critico è da individuare al di sotto della strada che lambisce il
versante che da Nicotera Superiore conduce a Nicotera Marina. Qui, lo scorso
giugno, un canalone naturale, creatasi al di sotto della strada, ha eroso la
tenuta della carreggiata che è stata letteralmente inghiottita dalla voragine.
Tragedia sfiorata, dunque, in un tratto di strada minacciata da fiumane
sottostanti. La grave criticità è stata, anche in questo caso, scaturita dalla
mancata manutenzione dei vari reticoli di acqua che segnano l’area. Quando
ancora le campagne erano coltivate, la saggezza dei contadini faceva sì che
queste acque venissero regimentate, nel rispetto dei loro percorsi naturali,
creando una rete di solchi che si collegavano poi ad un canale maestro che
raccoglieva le acque piovane poi utilizzate per irrigare i campi.
L’incuria
e il mancato monitoraggio del territorio hanno contribuito a generare uno
sfacelo sempre più evidente. Urge, prima di ogni cosa, una mappatura delle zone
a rischio, ma anche il rispetto delle regole e della natura del territorio,
particolari questi, non secondari, che solo il Psc può raccontare.
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