giovedì 29 ottobre 2015

La prematura morte di Michela Brosio



San Calogero. Aveva solo trent’anni Michela Brosio e tanti sogni da realizzare, tanta voglia di vivere, tre sorelle che l’adoravano e due affettuosi genitori. Ora su di loro si è abbattuta la frastornata disperazione di chi non riesce a capacitarsi di aver perso una persona tanto cara, di quanto la vita possa essere ingiusta, di come sia difficile dare un senso ad un evento inconcepibile. Per il papà Salvatore Brosio, la mamma Teresa De Vita, le tre sorelle Valentina, Monica e Gabriella, il fidanzato Domenico Grillo, sarà difficile trovare consolazione alla sua scomparsa, se non nella promessa cristiana di poterla rincontrare nel giorno in cui le persone si ritroveranno, in un mondo migliore, dopo la morte fisica. Michela, occhi e capelli neri, fattezze mediterranee, era una bella ragazza calabrese, come tante. In lotta con le incognite del lavoro che non c’è in un territorio come la Calabria, immersa nei problemi dei giovani calabresi alle prese con le criticità di un presente pieno di ostacoli, in una terra abbandonata, disseminata di invisibili insidie nascoste tra le pieghe di un territorio insondato e insondabile. Ma, pur nelle difficoltà comuni a tanti giovani, ciò che non ti aspetti è il fulmineo esordio di un tumore, il suo devastante decorso che lentamente ti ruba la vita. E così per la dolce Michela lo scorso agosto è iniziata la sua battaglia per la vita. La lotta più difficile, la più dura, quella contro il male del secolo, in confronto al quale tutti i problemi di ogni giorno sembrano svanire e rimpicciolirsi, sbiadire in un angolo, diventare stupide inezie di fronte alla sacra lotta per resistere, al duellare con un male feroce nel tentativo di rimanere attaccati all’esistenza, il dono più grande. Michela, una volta scoperta la malattia, si è recata  Roma, destinazione il Policlinico dell’Università di Tor Vergata per sottoporsi alle cure. Ha vissuto dunque lontano dalla sua casa e dal suo paese i momenti terribili che, in un crescendo doloroso, l’hanno portata alla disfatta. Così Michela, coraggiosa combattente, ha resistito fino all’ultimo respiro, poi il suo cuore ha detto basta ed ha lasciato questo mondo sospesa verso la gloria eterna di Dio che accarezza di tenero amore le creature più amate.  
Venerdì pomeriggio il triste addio a Michela. Il funerale si è svolto a partire dalle 15.30. Interminabile il corteo che ha accompagnato la salma dalla casa alla chiesa matrice, dove è stata officiata la funzione religiosa. Un’intera comunità, quella sancalogerese, si è stretta intorno alla famiglia di Michela, mostrando affetto e vicinanza, in un composto e commosso silenzio. Sono accorse persone dall’intero territorio vibonese, il padre Salvatore, è socio della notissima ditta di autolinee, molta conosciuta in tutta la provincia.
La straziante vicenda della giovane Michela riapre una questione sempre aperta per l’intera provincia vibonese. Anzi due questioni, due veri e propri gap che fanno precipitare quest’angolo sventurato di Calabria in un baratro sempre più profondo. La prima riguarda la mancanza di un adeguato sistema sanitario che costringe molte persone a recarsi fuori regione per sottoporsi a delle cure, come è successo alla ragazza sancalogerese. L’altro aspetto, più oscuro e apparentemente insondabile, è collegato alla mancata bonifica di un territorio che potrebbe nascondere nel suo ventre i semi della morte. Molti paesi del vibonese contano un numero esponenziale di malati di cancro, francamente troppi in rapporto allo scarna demografia dei nostri piccoli paesi. Ma finora nessuno degli addetti ai lavori, a cominciare dai signori della politica, ha affrontato seriamente il problema. Anche redigere un semplice registro tumori per il territorio sembra un’impresa epica. L’auspicio è che Michela non sia morta invano e che la sua vicenda sia quel sacrificio che serva ad illuminare le menti e le azioni di chi può fare, per questa terra, ma non fa.


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