domenica 22 gennaio 2017

Acqua sporca in Marina. La gestione privatistica di una risorsa pubblica.



Nicotera. Sono passati quasi due anni e mezzo da quando l’ex sindaco Franco Pagano ha emesso, per la frazione Marina, il divieto di uso dell’acqua che giunge nelle case dei cittadini. Era esattamente il primo di ottobre del 2014. Gli esami effettuati dall’Asp, verso la metà di settembre dello stesso anno, avevano evidenziato un’eccessiva presenza di manganese, metallo naturalmente presente in natura, ma che, nell’organismo umano, in dosi eccessive, è dannoso, e può cagionare seri danni al sistema neurologico. Prontamente il primo cittadino firmò l’ordinanza di non potabilità che tuttora è in vigore, nonostante gli esami effettuati dall’Asp, a novembre del 2016, avevano dichiarato la fine dell’emergenza manganese. Ma tra i dati resi noti dall’Azienda sanitaria provinciale e la realtà dei fatti vi era, e vi è, una totale discrepanza. L’acqua, nelle case dei cittadini, continua a giungere di una colorazione giallognola, oltre che caratterizzata da un odore sgradevole. Quindi, nulla, in questi due anni e mezzo è cambiato, anzi le cose si fanno sempre più ingarbugliate e non si riesce a fare chiarezza sul grave disservizio. Ma tornando a quell’uno ottobre del 2014, vediamo cosa è successo, in quest’arco di tempo, e come si sono susseguiti gli eventi. La criticità, con il passar del tempo, si è aggravata, ma nulla si è mosso a livello politico o istituzionale per arginare un disservizio che, oltre a costituire un grave attentato alla salute pubblica, metteva anche in ginocchio il turismo. Intanto aumentava la legittima esasperazione dei cittadini, che si costituivano in un comitato per chiedere che le loro rimostranze non restassero grida nel deserto. Ma le analisi continuavano a dare brutte sorprese. Nel maggio del 2015 gli esami svolti in autotutela dal Comune, grazie ad Accredia, evidenziavano che, oltre al manganese, l’acqua conteneva anche il temibile batterio dello pseudomonas aeuriginosa. Di male in peggio. Le cose non sembravano affatto volgere al meglio, anche perché nessun accenno da parte del Comune per porre in essere una qualche soluzione al problema. Basti pensare che non fu semplice, per i cittadini, effettuare un normale accesso agli atti, per reperire dati utile per redigere un dossier da inviare alla Regione. Il Codacons affiancava la lotta del comitato civico, e, grazie al supporto della nota associazione dei consumatori, inviava lettere alla prefettura, al Comune, ai Carabinieri, al Dipartimento Ambiente della Regione. Tutto inutile.
Intanto a finire inevitabilmente sotto accusa era la Sorical, la nota società per la gestione delle risorse idriche. Da tempo immemorabile, ogni futuro amministratore prometteva al suo elettorato lo sganciamento del Comune dalla Sorical, e ciò, principalmente per abbattere i costi delle bollette, e garantire anche una migliore gestione dell’immensa risorsa idrica che detiene il territorio. La Sorical costa al Comune di Nicotera qualcosa come 300 mila euro annui. L’acqua erogata dall’acquedotto Medma (gestito proprio da tale società) viene venduta ai cittadini a 1.50 euro al metro cubo. Non solo. La Sorical non lascia al Comune nessuna royalties, benché prelevi l’acqua dal ricchissimo territorio nicoterese per venderla ad altri comuni. I costosi lavori effettuati dalla società lo scorso agosto, presso l’impianto Medma, pare non abbia portato sollievo alla popolazione colpita dal grave disagio. Nulla, dunque, in questi due anni e mezzo è cambiato. Così come rimane sempre uguale il grande quadrilatero del potere, composto dai punti cardinali che decretano il destino dell’acqua in Calabria: Sorical, Arpacal, Asp, Regione. Un quadrilatero dove si gestiscono le grandi risorse della Calabria, non solo acqua, ma anche il mare. Un sistema sempre unito e solidale, il cui diktat parrebbe essere il mantenimento potere economico, tramite l’esazione, e politico, tramite le nomine. La Regione è proprio espressione della politica tout-court,  e Asp, Sorical e Arpacal non sono che delle sue propaggini attraverso la nomina dei dirigenti. In questo contesto forte è il rischio che le risorse patrimoniali divengano carburante per il potere politico e che un bene pubblico sia gestito in termini imprenditoriali e privatistici.


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