Nicotera.
L’attesa del santo Natale iniziava la mattina
presto, le cinque del mattino, quando per le strade cittadine due zampognari,
vestiti con gli abiti da pastori del presepe, davano fiato ai loro strumenti,
intonando tributi di lode all’Altissimo e dando inizio così al periodo
dell’attesa dell’avvento.
La musica che allietava
le gelide mattinate dicembrine era solo una delle tradizioni che animava il
natale nicoterese. Molte di esse vanno sbiadendo sotto il peso del cambiamento
dei costumi, ma alcune resistono mantenendo saldo il valore della tradizione.
Il clima natalizio a
Nicotera cominciava già dal 21 novembre, festa della Madonna della Scala. Già
da allora ci si attivava a raccogliere tutto il materiale necessario per
costruire il presepe: muschio, pezzi di sughero, ramoscelli di mirto e di olmo,
sacchi per farina per edificare le montagne. Poi, una volta raccolto il
materiale necessario, cominciava la messa in opera. Questo era un momento di
grande aggregazione familiare, poiché tutti a vario titolo partecipavano
all’allestimento del presepe. D’altronde i nicoteresi erano i migliori
artigiani del presepe, le loro creazioni erano esposte in varie chiese del
territorio. Presso il museo di Arte sacra di Nicotera è possibile ammirare le
loro statuine, realizzate con la creta o le loro creazioni di terracotta.
Grande l’afflato religioso che animava il periodo prenatalizio. Le novene, sia
quelle mattutine che pomeridiano, erano affollatissime.
Però nel cuore del
Natale esisteva una tradizione quasi esclusivamente pagana, anzi, che affondava
le sue radici in quella sorta di medicina popolare dove fede e magia si
incontravano. Infatti solo la notte di Natale era permesso trasmettere
oralmente, a pochissimi iniziati, le formule magiche e segretissime che
servivano a scacciare il malocchio.
Lo stato di
“adocchiamento”, secondo la superstizione popolare, consisteva in uno stato di
malessere in cui versava il malcapitato vittima dell’invidia altrui. Tale
sentimento poteva essere così forte da gettare la vittima in uno stato di
infermità. Quando qualcuno stava male interveniva prontamente la
“sdocchiatrice”, una donna conoscitrice delle oscure formule, che recitava una
serie di suppliche in cui si intrecciavano sacro e profano, preghiere e anatemi
contro l’autore del malocchio. Così, dopo svariati tentativi, armata da un
piatto, sale, coltello, e da tutta la sua arte da “curandera”, la sdocchiatrice
riportava la vittima in uno stato ottimale di salute.
Tali formule, che
appartengono ormai al patrimonio etnografico e culturale del territorio,
testimoniano il legame tra la fede cristiana e i riti magici di estrazione
squisitamente popolare. Specie nelle campagne questa sorta di medicina era
molto diffusa: spesso l’uso delle erbe e la declamazione di invocazioni
costituivano il rimedio ai tanti malesseri che affliggevano popolazioni dedite
a un duro lavoro dei campi, quando non esisteva nemmeno il medico di famiglia.
Allo stesso modo, solo
la notte di Natale i pescatori di Nicotera Marina trasmettevano ai pochissimi
eletti la formula che serviva a “tagliare” un fortunale, quando minacciava di
abbattersi sulle loro povere barche o sulle case.