Vibo Valentia. Via Alcide De Gasperi n.2. E’ questo
uno dei punti focali dell’operazione “Purgatorio”, condotta dai carabinieri
del Comando tutela patrimonio culturale della Calabria e del Ros, coordinata
dalla Dda di Catanzaro, su un traffico di reperti archeologici. Al centro della
corposa inchiesta i “tombaroli”, archeologi clandestini al servizio del mercato
illegale di opere d’arte di epoca remotissima, trafugati in Italia, ma più
spesso all’estero.
Le
indagini dei Carabinieri hanno permesso di delineare come si articolava
l’organizzazione criminale che gestiva il traffico illecito, una struttura
complessa e tentacolare, fatta di finanziatori, operai, insospettabili
“colletti bianchi”. Tutti, a vario titolo, partecipavano al business illegale,
al cui vertice sedeva Pantaleone Mancuso, il sessantottenne presunto boss dell’omonima
cosca, noto alle cronache giudiziarie con il soprannome di “Vetrinetta", finito in carcere. Ai domiciliari sono stati messi, invece: Giuseppe Braghò, 68 anni, di Limbadi, archeologo, esperto d’arte,
addetto alla vendita e all’importazione degli oggetti trafugati; Giuseppe Tavella, coordinatore dell’attività e finanziatore; Francesco Starapoli, finanziatore (ha messo a disposizione dell’associazione
qualcosa come 84 mila euro). Divieto di dimora a Vibo per Pietro Proto, 53 anni, di Nicotera,
addetto alla vendita e fidatissimo di Braghò; Orazio Cicerone, 42 anni, finanziatore di Nicotera;
Luigi Fabiano, 47 anni, di Berna, addetto alla commercializzazione dei reperti trafugati.
Era
il 20 dicembre 2012 e, a seguito di una intensa attività di appostamento, i
carabinieri, «simulando un controllo casuale presso l’immobile ubicato in Vibo
Valentia, via Alcide de Gasperi, di cui risultava locatario Di Bella Alberto,
individuavano all’interno dello stesso appartamento uno scavo e un tunnel
clandestino». Questo è quanto svela l’ordinanza di custodia cautelare, che ha
visto sei persone coinvolte, firmata dal giudice Abigail Mellace, su richiesta del sostituto procuratore Camillo Falvo. Un tunnel,
dunque, che attraversava l’intero sottosuolo dell’area un tempo dedicata alla
Ninfa Scrimbia. E proprio nel soggiorno buono dell’appartamento c’era la porta
segreta che conduceva in un mondo sotterraneo in cui le attività criminali
avevano preso d’assedio i reperti di una storia sepolta e dimenticata, quella
di un territorio ad elevatissimo interesse archeologico. E così il varco
segreto praticato nel pavimento, dalle dimensioni di 60cm per 60cm, comunicava,
per mezzo di una scala a pioli con il garage sottostante. Qui i militari
trovarono attrezzature e indumenti sporchi di fango, elementi importantissimi
che fecero immediatamente pensare agli operanti di trovarsi di fronte «una base
logistica di un’associazione stabilmente dedita ad illecite operazioni di scavo
e prelievo». E infatti, proseguendo nell’ispezione, i carabinieri scoprirono un
foro nel pavimento del garage «dal quale si dipanava un cunicolo scavato al di
sotto delle fondazioni del fabbricato che, tagliandolo trasversalmente, si
prolungava ben oltre la via Scrimbia, traversa di via Alcide De Gasperi,
contigua con il giardino dell’Hotel “Vecchia Vibo”». Un labirinto complesso, ma
realizzato con grande maestria e per nulla affidato all’approssimazione. Segno
della perizia degli operai al servizio dell’organizzazione. Il cunicolo è
infatti puntellato, al fine del rafforzamento, da pali di ferro, e ciò per
evitare frane o smottamenti. Vi sono cavi per l’illuminazione elettrica e
addirittura un tubo per garantire lo scarico di eventuale acqua che poteva
rappresentare un ostacolo alle operazioni di scavo.
Immediato
il sequestro da parte dei carabinieri di quanto ritrovato tra la viscere della
città di Vibo: reperti di grande interesse archeologico databili tra la fine
del VI e l’inizio del IV secolo a.C., così come stabilito dagli archeologi
Francesco Cuteri e Rotella Anna Maria.
Inizialmente
la procura della Repubblica di Vibo apriva un procedimento penale a carico del
solo Alberto Di Bella, locatario dell’appartamento. Ma il Di Bella
rappresentava solo il bandolo della matassa, che fu sbrogliata con grande cura
dagli inquirenti. Al vertice dell’associazione, con il ruolo di organizzatore,
promotore e finanziatore, il già citato Pantaleone Mancuso. Poi, in ordine
piramidale, gli altri esponenti dell'associazione.