venerdì 17 luglio 2015

Nuovo sbarco di migranti a Vibo Marina. (foto M. Mazzitello)









Vibo Marina. Ad attenderli al porto di Vibo Marina, sotto un sole inclemente, c’erano i Carabinieri, la Polizia di Stato, la Guardia di Finanza, gli operatori del 118, la Protezione civile e i volontari. All’imbrunire, dalla banchina del porto, si è cominciata a intravedere la nave Dattilo della Marina Militare con a bordo il suo carico umano: 845 persone. 615 uomini e 189 donne e 31 minori accompagnati.
E’ Diego Berlingieri, Capitano della Compagnia dei Carabinieri di Vibo Valentia a precisare i dettagli dell’ennesimo sbarco sulle coste del Vibonese. I migranti, giunti dalle coste libiche, sono stati prelevati dall’incrociatore Dattilo della Marina militare. La loro etnia è subsahariana, provengono quindi dal grande entroterra dell’Africa. La nave ha attraccato al porto di Vibo Marina alle 19.30, e dopo un quarto d’ora è cominciato lo sbarco. Notevole punto messo a segno dai militari, i quali hanno identificato tra gli 800 migranti sei scafisti, della stessa nazionalità dei passeggeri, con quali forse speravano di confondersi. Immediate le operazioni di identificazione e poi lo screening sanitario a cura del personale addetto. Quindi lo smistamento e le operazioni per il ricollocamento, in quanto quello di Vibo Marina è solo un punto di approdo, poi i migranti, nella tarda serata di ieri, sono stati trasportati, tramite autobus, presso i centri di accoglienza del Centro e Nord Italia, in quanto quelli della Calabria sono ormai al collasso.
L’operazione è stata programmata nei dettagli già nella mattinata di ieri. Sede di un breafing, dove si sono messe a punto le varie fasi dell’intervento, la Capitaneria di porto di Vibo Marina. Alla riunione, presieduta dal prefetto Giovanni Bruno, al quale sono state affidate le attività di accoglienza, erano presenti le forze dell’ordine e il personale del 118.  Un’operazione complessa, svolta professionalità e grande spirito umanitario dai militari e dai sanitari presenti sulla banchina del porto. Un lavoro non semplice, e non solo per il disbrigo delle pratiche burocratiche di identificazione, ma anche per l’aspetto umanitario dell’intera operazione. L’incrociatore della Marina Militare è diventato ieri sera l’emblema della salvezza per quell’umanità in fuga da una vita grama. Agli occhi dei migranti, ammassati sulle coste libiche in attesa di fuggire da quella Babilonia pullulante di speranza e disperazione, le navi che li porteranno via saranno il mezzo che li trasporterà verso la terra promessa. Quella vagheggiata dai racconti di chi li ha preceduti e che è riuscito, magari in altre epoche e contesti, a cambiare in bene il corso di un destino che si prefigurava contrassegnato dagli orrori della guerra e della fame.
I migranti sono scesi mesti dalla nave, quasi intimiditi dagli uomini e dalle donne che hanno atteso per ore il loro arrivo al porto e dalla poderosa macchina dell’accoglienza che subito si mette in moto. Sembra quasi intravedere, tra le pieghe nascoste di quelle scene e di quelle azioni di ospitalità, un filo invisibile ma resistente, che collega i migranti e i loro accoglitori, una specie di fratellanza segreta. Chissà quanti tra questi ultimi sono figli o nipoti di migranti, partiti e dispersi per ogni dove, nel mondo. E nella memoria collettiva è ancora impressa la sensazione dolorosa di chi ha perso la propria patria. 


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