Vibo
Marina. Ad attenderli al porto di Vibo Marina, sotto un
sole inclemente, c’erano i Carabinieri, la Polizia di Stato, la Guardia di
Finanza, gli operatori del 118, la Protezione civile e i volontari.
All’imbrunire, dalla banchina del porto, si è cominciata a intravedere la nave
Dattilo della Marina Militare con a bordo il suo carico umano: 845 persone. 615
uomini e 189 donne e 31 minori accompagnati.
E’ Diego Berlingieri,
Capitano della Compagnia dei Carabinieri di Vibo Valentia a precisare i
dettagli dell’ennesimo sbarco sulle coste del Vibonese. I migranti, giunti
dalle coste libiche, sono stati prelevati dall’incrociatore Dattilo della
Marina militare. La loro etnia è subsahariana, provengono quindi dal grande
entroterra dell’Africa. La nave ha attraccato al porto di Vibo Marina alle
19.30, e dopo un quarto d’ora è cominciato lo sbarco. Notevole punto messo a
segno dai militari, i quali hanno identificato tra gli 800 migranti sei
scafisti, della stessa nazionalità dei passeggeri, con quali forse speravano di
confondersi. Immediate le operazioni di identificazione e poi lo screening
sanitario a cura del personale addetto. Quindi lo smistamento e le operazioni
per il ricollocamento, in quanto quello di Vibo Marina è solo un punto di
approdo, poi i migranti, nella tarda serata di ieri, sono stati trasportati,
tramite autobus, presso i centri di accoglienza del Centro e Nord Italia, in
quanto quelli della Calabria sono ormai al collasso.
L’operazione è stata
programmata nei dettagli già nella mattinata di ieri. Sede di un breafing, dove
si sono messe a punto le varie fasi dell’intervento, la Capitaneria di porto di
Vibo Marina. Alla riunione, presieduta dal prefetto Giovanni Bruno, al quale
sono state affidate le attività di accoglienza, erano presenti le forze
dell’ordine e il personale del 118. Un’operazione
complessa, svolta professionalità e grande spirito umanitario dai militari e dai
sanitari presenti sulla banchina del porto. Un lavoro non semplice, e non solo
per il disbrigo delle pratiche burocratiche di identificazione, ma anche per
l’aspetto umanitario dell’intera operazione. L’incrociatore della Marina Militare
è diventato ieri sera l’emblema della salvezza per quell’umanità in fuga da una
vita grama. Agli occhi dei migranti, ammassati sulle coste libiche in attesa di
fuggire da quella Babilonia pullulante di speranza e disperazione, le navi che
li porteranno via saranno il mezzo che li trasporterà verso la terra promessa.
Quella vagheggiata dai racconti di chi li ha preceduti e che è riuscito, magari
in altre epoche e contesti, a cambiare in bene il corso di un destino che si
prefigurava contrassegnato dagli orrori della guerra e della fame.
I migranti sono scesi
mesti dalla nave, quasi intimiditi dagli uomini e dalle donne che hanno atteso
per ore il loro arrivo al porto e dalla poderosa macchina dell’accoglienza che
subito si mette in moto. Sembra quasi intravedere, tra le pieghe nascoste di
quelle scene e di quelle azioni di ospitalità, un filo invisibile ma
resistente, che collega i migranti e i loro accoglitori, una specie di
fratellanza segreta. Chissà quanti tra questi ultimi sono figli o nipoti di
migranti, partiti e dispersi per ogni dove, nel mondo. E nella memoria
collettiva è ancora impressa la sensazione dolorosa di chi ha perso la propria
patria.
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