Vibo Marina. Le operazioni di sbarco, soccorso e identificazione
dei migranti giunti giovedì sera al porto di Vibo Marina sono proseguite fino a
tarda notte. Complesso e operativo il sistema di accoglienza dei passeggeri
della Dattilo, il pattugliatore polifunzionale della Squadriglia della Guardia
Costiera di Messina che ha recuperato, nei giorni scorsi, nelle acque del Canale
di Sicilia, i migranti che si trovavano a bordo di due barconi e due gommoni alla
deriva a circa trenta miglia dalle coste libiche. Il dispositivo di accoglienza
e identificazione è stato disposto dal prefetto di Vibo Giovanni Bruno, e ha
visto impiegate le varie forze dell’Ordine: Polizia, Carabinieri, Guardia di
Finanza, Guardia Costiera, Forestale, la questura di Vibo, i Vigili del Fuoco,
l’Asp di Vibo, la Protezione Civile e le Associazioni di volontariato presenti
sul territorio. Tra gli 835 migranti tratti in salvo dall’incrociatore Dattilo,
vi erano 615 uomini, 189 donne di cui 10 in stato di gravidanza e 31 minori.
Tra questi moltissimi non accompagnati. Per essi sono già state attivate tutte
le procedure di tutela, previste dalla legge. Nella tarda nottata di ieri,
molti di loro, a bordo dei pullman, hanno raggiunto le varie località di
ricezione, del Centro e Nord Italia.
35
di essi però sono rimasti in Calabria, e spediti in due diverse destinazioni:
l’Hotel Lacina di Brognaturo e l’Hotel Il ducale di Briatico.
Ad
aprire uno squarcio sulla vita e le storie di queste persone è Marco Talarico,
presidente dell’Associazione polivalente Monteleone protezione civile.
«Sfuggono dalla guerra, dalla fame. Si mettono in viaggio perché non hanno
alternative».
E
quelle intere famiglie scese dalla Dattilo spiegano il dramma di chi parte, incalzato
da un destino impietoso, la scelta obbligata di abbandono delle proprie radici.
Le madri avvolte nei loro chador con i figlioletti in braccio con gli occhioni
neri sgranati di sorpresa di fronte alle divise perfette ed eleganti disposte
di fronte a loro ad accogliergli al termine della fuga per la salvezza.
Queste
35 persone, ospitate nei due centri del Vibonese, vanno a prendere il posto di
altrettanti migranti che sono scappati via, rendendosi irreperibili.
Una
volta giunti nelle strutture di accoglienza cominceranno le complesse fasi
burocratiche che andranno ad accertare quanti di essi potranno ottenere lo
status di rifugiati politici. Un iter burocratico assai complesso, cui fa capo
una commissione, le cui delibere non arrivano certo in tempi brevi, e ciò anche
per il notevole numero (sempre crescente) di questi ospiti. Secondo le leggi
europee, in materia di accoglienza, i migranti dovrebbero permanere nelle
strutture non più di 45 giorni, e cioè il tempo necessario che occorre alla
Commissione preposta per i rifugiati politici. In realtà, i tempi si prolungano
in modo esponenziale: possono passare dai 90 ai 180 giorni. Sei mesi dunque, in
cui gli ospiti continueranno a vivere negli alberghi adibiti a strutture di
ricezione. E questo è solo un primo livello. Un secondo livello, passati i 180
giorni, si chiama Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e
rifugiati) e costituisce una rete di centri di “seconda accoglienza” destinata
ai richiedenti e ai titolari di protezione internazionale.
L’associazione
Protezione civile Monteleone che ha in carico questi migranti si occupa, in
base alle direttive delle Convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia,
di intermediazione culturale e
ambientale, dell’iter amministrativo che ogni singolo ospite deve intraprendere
per il riconoscimento dei diritti di rifugiato politico, delle cure sanitarie,
del vestiario e dell’alimentazione.
Massima assistenza, anche economica: 2,50 al giorno. Poi ci sono vari corsi
formativi organizzati dall’associazione: primi passi verso l’integrazione
completa con il territorio che li ospita.
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