Nicotera. Risolto in meno di 24 ore il giallo del ferimento della giovane Marisa
Putortì. Sulle indagini si sono concentrati i Carabinieri delle compagnie di Nicotera, Nicotera
Marina e Tropea, guidate, rispettivamente, dai luogotenenti Raffaele Castelli,
Fabio Cirone e dal comandante Francesco
Manzone. Ma Demetrio
Putortì, fratello della vittima, classe 1993, spontaneamente, alle 17 del pomeriggio di sabato, si
è costituito presso la tenenza di Nicotera Marina. Qui, davanti al comandante Fabio Cirone, ha ammesso la sua colpa. Il crimine sarebbe scaturito
nell’ambito di attriti familiari.
Quella tra venerdì e sabato è stata forse per Marisa Putortì la notte
più lunga della sua vita. Gravemente ferita alle gambe, trasportata in ospedale
e poi sottoposta a un delicato intervento chirurgico, si è risvegliata
estraniata e dolorante in un letto d’ospedale. Man mano che si dipanava il
sonno dell’anestetico ha dovuto fare i conti con la raccapricciante
consapevolezza di essere stata vittima di un attentato che poteva costarle la
vita. Qualcuno, la sera precedente, le aveva sparato, attingendola alle gambe.
Aveva lasciato il suo sangue davanti all’ingresso del bar nel quale lavorava e,
tra la confusione e lo sgomento, aveva atteso attimo dopo attimo l’arrivo del
118, mentre i medici accorsi immediatamente sul posto tentavano di arrestare
l’emorragia. Le sue condizioni, allo stato attuale, non detesterebbero
particolari preoccupazioni. Ma poteva andare molto peggio: i colpi le hanno
sfiorato l’arteria femorale. Probabilmente ancora più difficile da rimarginare
saranno le ferite che le sono state inferte nella psiche: volevano impartirle
una “punizione”, darle un “avvertimento”, o volevano farla fuori? In ogni caso,
cosa può aver fatto di così terribile una ragazzina da meritare tanta ferocia? Alla
luce delle risultanze delle indagini ora si scopre che il crimine è maturato in
ambito familiare, e tutto diventa più drammatico. Certo, il modus operandi
dell’autore dell’agguato fa venire in mente le classiche modalità mafiose usate
negli attentati. La vittima è pronta, disarmata e facilmente aggredibile, sembra
che stia aspettando il suo momento. Una macchina sfreccia, un pit stop di un
secondo e partono i colpi. Mentre la persona nel mirino è a terra in un lago di
sangue, l’auto con a bordo gli assassini ha già fatto perdere le sue tracce.
Sembra una delle tante cronache di un delitto di mafia, con la differenza che
adesso il protagonista del nefasto racconto non è un pluripregiudicato o un
boss della mala ma una ragazza normalissima e incensurata di 21 anni ancora da
compiere. Marisa ha avuto una adolescenza segnata da un grave lutto: la morte
dell’amato padre, aveva 14 anni. Dal fidanzato ha avuto un bambino che adora.
Lavora al bar Bombo per portare a casa qualche soldino in più per non far
mancare nulla a suo figlio. Venerdì sera poco prima delle 22, era seduta fuori
dal locale per un momento di pausa dal lavoro. In piazza Garibaldi, già impazza
il Taranta Festival, e il ritmo forsennato delle tarantelle giunge fin là. Tutto
sembra normale, in pieno centro storico, in piena estate, tra musica e turisti
che passeggiano in città. Ma in un attimo tutto cambia. Passa un auto scura dalla quale vengono
esplosi colpi di arma da fuoco contro Marisa che si accascia a terra. Dopo che
l’ambulanza la porta via, dov’era distesa rimane un lago di sangue. Mani
pietose cercano di coprirlo dalla vista dei curiosi: decine di fogli di
giornale vengono distesi sul luogo dell’agguato. Ma i segni della violenza
rimangono a terra, nei tovagliolini di carta sparsi dappertutto e spazzati via
dal vento, nel muro in cui il sangue e le bibite hanno disegnato momenti
concitati e terribili.
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