sabato 23 maggio 2015

Nicotera Marina: località Tarzana, toponimo arabo che rivela i segni lasciati dalla cultura nel territorio.




Nicotera. Fin dall’inizio della sua storia, Nicotera fu al centro di un’incredibile serie di incursioni da parte di pirati arabi. Benchè già a partire dai primi secoli dopo Cristo fossero definiti “saraceni”, e odiernamente indentificati con il termine generico di “arabi”, è impossibile classificare questi invasori in una precisa categoria etnica o geografica. Essi infatti arrivavano dal Nord Africa, dalla Turchia e anche dalla penisola iberica. Erano di certo assalitori senza scrupoli: con i loro natanti giungevano presso le coste dell’Italia Meridionale, e qui saccheggiavano quanto trovavano sul loro percorso. La posizione in collina di Nicotera si deve proprio ad una precisa strategia di controllo, da parte degli autoctoni, delle imbarcazioni nemiche. In un secondo momento, per migliorare le attività di monitoraggio del mare, furono edificate due torri, in perfetta posizione equidistante tra di loro, la torre di Santa Maria dell’Agnone (oggi scomparsa) sul lato Sud, e la Torre Parnaso, lato Nord, ancora in piedi, nonostante le ingiurie del tempo e delle intemperie naturali. Ma forse il simbolo delle devastazioni saracene, ancora adesso visibile, sono quei sette colpi di proiettile che una torma di invasori esplose contro il crocifisso nella cattedrale, un’opera sacra ancor oggi esposta nel santuario nicoterese, e che fu realizzata nel 1590 da Angelo Laudano di Napoli. Era il 20 giugno del 1643, fu quello un giorno di straordinaria violenza per la cittadina tirrenica e quel Cristo appeso i croce dall’aria martoriata, racconta, ancora oggi, la portata delle azioni nefaste poste in essere dagli assalitori. Cercavano l’oro del vescovo che si favoleggiava fosse nascosto all’interno della chiesa e non avendolo trovato, per spregio, spararono alla sacra effigie di legno. Secondo le cronache dell’epoca rubarono gli oggetti sacri e bruciarono il prezioso archivio vescovile. La popolazione dovette subire le angherie degli assalitori d’oltremare anche dopo 70 anni dalla battaglia di Lepanto, l’evento bellico che cambiò gli equilibri allora esistenti nel Mediterraneo.
Le cronache raccontano che Nicotera cominciò a subire le invasioni saracene già a partire dalla prima metà del IX secolo. Nell’840 “approdarono nei nostri lidi mal difesi e vi posero presidio”, scrive il Corso. Un’altra incursione avvenne pochi anni dopo, nell’846. Ma l’evento più drammatico dell’alto medioevo nicoterese fu forse l’assalto verificatosi nell’884. In un’orgia di incontenibile violenza, i saraceni martirizzarono il vescovo della città. Secondo il Gualtieri il religioso si chiamava Antonino e il suo assassinio è da collocare l’11 di settembre di quell’anno. Nella memoria storica collettiva dei nicoteresi è ancora impressa la modalità dell’esecuzione del vescovo: Antonino fu legato ad un carro e trascinato per le terre circostanti. Il racconto del terribile delitto rimbalzò di generazione in generazione grazie alla tradizione orale, suffragata dal racconto degli storici.
Gli studiosi, nell’occuparsi della presenza araba nel territorio calabrese, individuano tre siti estremamente rappresentativi in tal senso: Nicotera, Reggio e Amantea. Erano questi luoghi evidentemente assai appetibili agli occhi dei corsari saraceni, perché erano città ricche e progredite, munite di porti ed approdi naturali. Ma la storia degli arabi in Calabria è solo una storia di devastazione e morte? Una recente rivisitazione storica delle incursioni saracene ha messo in evidenza una certa fusione tra gli elementi della cultura araba e il sostrato autoctono. Una presenza ancora viva nella toponomastica, la quale, come spesso accade, nasconde sempre qualcosa in più di una semplice nome, è il caso, ad esempio, di una località, a Nicotera Marina, che ancora oggi conserva il suo nome arabo: Tarzanà. Qui infatti era ubicata proprio una “tarzana” e cioè uno stabilimento militare specializzato nella produzione e fusione di pezzi d'artiglieria. Un vero e proprio arsenale che si avvaleva di maestri d’ascia arabi di straordinaria bravura. Fu voluto da Federico II e la sua nomea di fabbrica di armi bianche progredì a tal punto che Nicotera, con regia ordinanza del 1239, venne elevata a cantiere e arsenale insieme a Napoli, Amalfi, Salerno e Brindisi. Sempre a Nicotera sembra siano stati rinvenuti gettoni in vetro recanti iscrizioni islamiche. Ora, della presenza della cultura araba non rimane che un toponimo, tutto il resto è scomparso, disintegrato per sempre sotto il peso dell’edilizia privata.

3 commenti:

  1. Un ottimo lavoro ; peccato per la successiva deriva politica-giudiziaria

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  2. Un ottimo lavoro ; peccato per la successiva deriva politica-giudiziaria

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