Nicotera.
Fin
dall’inizio della sua storia, Nicotera fu al centro di un’incredibile serie di
incursioni da parte di pirati arabi. Benchè già a partire dai primi secoli dopo
Cristo fossero definiti “saraceni”, e odiernamente indentificati con il termine
generico di “arabi”, è impossibile classificare questi invasori in una precisa
categoria etnica o geografica. Essi infatti arrivavano dal Nord Africa, dalla
Turchia e anche dalla penisola iberica. Erano di certo assalitori senza
scrupoli: con i loro natanti giungevano presso le coste dell’Italia
Meridionale, e qui saccheggiavano quanto trovavano sul loro percorso. La
posizione in collina di Nicotera si deve proprio ad una precisa strategia di
controllo, da parte degli autoctoni, delle imbarcazioni nemiche. In un secondo
momento, per migliorare le attività di monitoraggio del mare, furono edificate
due torri, in perfetta posizione equidistante tra di loro, la torre di Santa
Maria dell’Agnone (oggi scomparsa) sul lato Sud, e la Torre Parnaso, lato Nord,
ancora in piedi, nonostante le ingiurie del tempo e delle intemperie naturali.
Ma forse il simbolo delle devastazioni saracene, ancora adesso visibile, sono quei
sette colpi di proiettile che una torma di invasori esplose contro il crocifisso
nella cattedrale, un’opera sacra ancor oggi esposta nel santuario nicoterese, e
che fu realizzata nel 1590 da Angelo Laudano di Napoli. Era il 20 giugno del
1643, fu quello un giorno di straordinaria violenza per la cittadina tirrenica
e quel Cristo appeso i croce dall’aria martoriata, racconta, ancora oggi, la
portata delle azioni nefaste poste in essere dagli assalitori. Cercavano l’oro
del vescovo che si favoleggiava fosse nascosto all’interno della chiesa e non
avendolo trovato, per spregio, spararono alla sacra effigie di legno. Secondo
le cronache dell’epoca rubarono gli oggetti sacri e bruciarono il prezioso
archivio vescovile. La popolazione dovette subire le angherie degli assalitori
d’oltremare anche dopo 70 anni dalla battaglia di Lepanto, l’evento bellico che
cambiò gli equilibri allora esistenti nel Mediterraneo.
Le cronache raccontano che Nicotera
cominciò a subire le invasioni saracene già a partire dalla prima metà del IX
secolo. Nell’840 “approdarono nei nostri lidi mal difesi e vi posero presidio”,
scrive il Corso. Un’altra incursione avvenne pochi anni dopo, nell’846. Ma
l’evento più drammatico dell’alto medioevo nicoterese fu forse l’assalto
verificatosi nell’884. In un’orgia di incontenibile violenza, i saraceni
martirizzarono il vescovo della città. Secondo il Gualtieri il religioso si
chiamava Antonino e il suo assassinio è da collocare l’11 di settembre di
quell’anno. Nella memoria storica collettiva dei nicoteresi è ancora impressa
la modalità dell’esecuzione del vescovo: Antonino fu legato ad un carro e
trascinato per le terre circostanti. Il racconto del terribile delitto rimbalzò
di generazione in generazione grazie alla tradizione orale, suffragata dal
racconto degli storici.
Gli studiosi,
nell’occuparsi della presenza araba nel territorio calabrese, individuano tre
siti estremamente rappresentativi in tal senso: Nicotera, Reggio e Amantea.
Erano questi luoghi evidentemente assai appetibili agli occhi dei corsari
saraceni, perché erano città ricche e progredite, munite di porti ed approdi
naturali. Ma la storia degli arabi in Calabria è solo una storia di
devastazione e morte? Una recente rivisitazione storica delle incursioni
saracene ha messo in evidenza una certa fusione tra gli elementi della cultura
araba e il sostrato autoctono. Una presenza ancora viva nella toponomastica, la
quale, come spesso accade, nasconde sempre qualcosa in più di una semplice nome,
è il caso, ad esempio, di una località, a Nicotera Marina, che ancora oggi
conserva il suo nome arabo: Tarzanà. Qui infatti era ubicata proprio una “tarzana”
e cioè uno stabilimento militare specializzato nella produzione e fusione di
pezzi d'artiglieria. Un vero e proprio arsenale che si avvaleva di maestri d’ascia
arabi di straordinaria bravura. Fu voluto da Federico II e la sua nomea di
fabbrica di armi bianche progredì a tal punto che Nicotera, con regia ordinanza
del 1239, venne elevata a cantiere e arsenale insieme a Napoli, Amalfi, Salerno
e Brindisi. Sempre a Nicotera sembra siano stati rinvenuti gettoni in vetro
recanti iscrizioni islamiche. Ora, della presenza della cultura araba non
rimane che un toponimo, tutto il resto è scomparso, disintegrato per sempre
sotto il peso dell’edilizia privata.
Un ottimo lavoro ; peccato per la successiva deriva politica-giudiziaria
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