sabato 8 agosto 2015

Migranti 4: approdati in 427 al porto di Vibo Marina.



A portarli in salvo questa volta è stato un pattugliatore svedese. Li ha raccolti in mare nei pressi delle coste libiche. La nave stava effettuando un’operazione di monitoraggio quando ha scorto il barcone fatiscente con a bordo 427 migranti. Immediate le operazioni di soccorso. Subito dopo il pattugliatore ha intrapreso la rotta verso il porto di Vibo Marina, molo Bengasi. Qui, ieri mattina alle 8, sono cominciate le operazioni di sbarco. Ad accogliere la nave con il suo disperato carico umano, come sempre Polizia di Stato, i militari della Compagnia dei Carabinieri di Vibo Valentia, guidati dal Capitano Diego Berlingieri, la Guardia di Finanza, i sanitari del 118, i volontari della Croce Rossa e decine di volontari. Un vasto spiegamento interforce, coordinato dal prefetto di Vibo, Giovanni Bruno, e inglobato nell’ordinanza del questore Filippo Bonfiglio. Gli oltre 400 migranti, provengono, come per gli ultimi sbarchi avvenuti a Vibo Marina, dall'Africa subsahariana, sono quindi eritrei, somali, nigeriani.  336 sono uomini, 83 donne e 8 minori accompagnati. Dagli accertamenti effettuati dalla Polizia non è emersa la presenza di scafisti sulla nave, né, da quanto è dato sapere, gli immigrati presentano significativi problemi di salute, eccetto qualche caso di scabbia.
A salire a bordo per primi gli uomini della polizia e i sanitari del 118. E dopo un primo breve sopralluogo, sono cominciate le operazioni di sbarco. Solo quando i migranti hanno potuto mettere i piedi sulla terra ferma, hanno capito di avercela fatta e di aver scampato il pericolo che l’imprevedibilità del mare e le circostanze di un difficile viaggio di fortuna potevano rappresentare. La paura e la fatica, disegnati su quei volti tesi, hanno lentamente lasciato il posto ad un flebile sorriso di riconoscenza verso i loro soccorritori. Si sono rifocillati, bevendo avidamente dalle bottigliette loro offerte dalle pietose mani dei militari e dei volontari, acqua che gli ha ridato la vita, come la sorpresa e la confortante consapevolezza di sapere che al mondo esistono anche persone piene di bontà. Una presa d’atto che probabilmente ha ridato loro la fiducia negli esseri umani, dopo aver lasciato una terra in cui la malvagità dell’uomo ha spadroneggiato incontrollata, seminando terrore e morte. E ora finalmente la terra promessa, forse un futuro migliore. Lunga è stata la traversata, e lo stesso viaggio sembra una metafora del complicato percorso verso la salvezza, un percorso lastricato di pericoli, insidie, speranze. E la speranza la si invoca sempre durante il viaggio, la dea verde e sconfinata, quella di cui si dice che è l’ultima a morire, o che forse non muore mai, a bordo di un barcone di fortuna, sulle acque, così blu da sembrare nere, di un mare salvifico o infido, capace di donare la salvezza o la morte, a seconda delle bizzarrie del destino indecifrabile. E il mare molti lo vedono per la prima volta quando intraprendono il viaggio verso le coste italiane. Nati e cresciuti nell’arido entroterra africano, i migranti la distesa azzurra non l’hanno vista mai, forse l’hanno solo immaginata, poi le amare contingenze della vita li hanno obbligati ad affrontarla. Ma le acque profonde del Mediterraneo, che come in uno scrigno tombale conserva ancora i corpi e i sogni di libertà dei loro fratelli, questa volta è stato generoso con loro. E i 427 uomini, donne e bambini in fuga hanno incontrato l’Europa, il mito dell’Europa, ricca, opulenta ed evoluta, che, essi sperano, possa avere lo stesso cuore caldo e umano, di questo europei del Sud, di Vibo Marina, di un territorio devastato da problemi di ogni tipo, ma che non dimenticano la carità e lo spirito di accoglienza.

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