A portarli in salvo
questa volta è stato un pattugliatore svedese. Li ha raccolti in mare nei
pressi delle coste libiche. La nave stava effettuando un’operazione di
monitoraggio quando ha scorto il barcone fatiscente con a bordo 427 migranti.
Immediate le operazioni di soccorso. Subito dopo il pattugliatore ha intrapreso
la rotta verso il porto di Vibo Marina, molo Bengasi. Qui, ieri mattina alle 8,
sono cominciate le operazioni di sbarco. Ad accogliere la nave con il suo
disperato carico umano, come sempre Polizia di Stato, i militari della
Compagnia dei Carabinieri di Vibo Valentia, guidati dal Capitano Diego
Berlingieri, la Guardia di Finanza, i sanitari del 118, i volontari della Croce
Rossa e decine di volontari. Un vasto spiegamento interforce, coordinato dal
prefetto di Vibo, Giovanni Bruno, e inglobato nell’ordinanza del questore
Filippo Bonfiglio. Gli oltre 400 migranti, provengono, come per gli ultimi
sbarchi avvenuti a Vibo Marina, dall'Africa subsahariana, sono quindi eritrei,
somali, nigeriani. 336 sono uomini, 83
donne e 8 minori accompagnati. Dagli accertamenti effettuati dalla Polizia non
è emersa la presenza di scafisti sulla nave, né, da quanto è dato sapere, gli
immigrati presentano significativi problemi di salute, eccetto qualche caso di
scabbia.
A salire a bordo per
primi gli uomini della polizia e i sanitari del 118. E dopo un primo breve
sopralluogo, sono cominciate le operazioni di sbarco. Solo quando i migranti
hanno potuto mettere i piedi sulla terra ferma, hanno capito di avercela fatta
e di aver scampato il pericolo che l’imprevedibilità del mare e le circostanze
di un difficile viaggio di fortuna potevano rappresentare. La paura e la
fatica, disegnati su quei volti tesi, hanno lentamente lasciato il posto ad un
flebile sorriso di riconoscenza verso i loro soccorritori. Si sono rifocillati,
bevendo avidamente dalle bottigliette loro offerte dalle pietose mani dei
militari e dei volontari, acqua che gli ha ridato la vita, come la sorpresa e
la confortante consapevolezza di sapere che al mondo esistono anche persone
piene di bontà. Una presa d’atto che probabilmente ha ridato loro la fiducia
negli esseri umani, dopo aver lasciato una terra in cui la malvagità dell’uomo
ha spadroneggiato incontrollata, seminando terrore e morte. E ora finalmente la
terra promessa, forse un futuro migliore. Lunga è stata la traversata, e lo
stesso viaggio sembra una metafora del complicato percorso verso la salvezza,
un percorso lastricato di pericoli, insidie, speranze. E la speranza la si
invoca sempre durante il viaggio, la dea verde e sconfinata, quella di cui si
dice che è l’ultima a morire, o che forse non muore mai, a bordo di un barcone
di fortuna, sulle acque, così blu da sembrare nere, di un mare salvifico o infido,
capace di donare la salvezza o la morte, a seconda delle bizzarrie del destino
indecifrabile. E il mare molti lo vedono per la prima volta quando
intraprendono il viaggio verso le coste italiane. Nati e cresciuti nell’arido
entroterra africano, i migranti la distesa azzurra non l’hanno vista mai, forse
l’hanno solo immaginata, poi le amare contingenze della vita li hanno obbligati
ad affrontarla. Ma le acque profonde del Mediterraneo, che come in uno scrigno
tombale conserva ancora i corpi e i sogni di libertà dei loro fratelli, questa
volta è stato generoso con loro. E i 427 uomini, donne e bambini in fuga hanno
incontrato l’Europa, il mito dell’Europa, ricca, opulenta ed evoluta, che, essi
sperano, possa avere lo stesso cuore caldo e umano, di questo europei del Sud,
di Vibo Marina, di un territorio devastato da problemi di ogni tipo, ma che non
dimenticano la carità e lo spirito di accoglienza.
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