venerdì 7 ottobre 2016

Nicotera. Città sguarnita di presidi di legalità

Nicotera. Dunque l’inchiesta sul famoso elicottero è adesso approdata sulla scrivania del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri. Infatti, è notizia di due giorni fa, che dell’inchiesta si occuperà un uomo, è il caso di dire, preceduto dalla fama- fondatissima- di essere uno dei più combattivi magistrati antimafia. E con questo Nicotera finisce ancora una volta coinvolta in investigazioni in odor di mafia. L’attuale consiglio comunale è in attesa di sapere quale sarà il suo destino, se, cioè, il Viminale darà il suo placet alla relazione firmata dal prefetto di Vibo, Carmelo Casabona, redatta in seguito alle indagini effettuate dalla commissione di accesso agli atti, insediatasi a palazzo Convento lo scorso 3 febbraio.
La città pare non riesca ad emergere dalle spire di una cultura mafiosa che, nella sua pervasità, l’ha incatenata a una situazione sconfortante: con questa, qualora il comune venga sciolto per mafia, per Nicotera sarà la terza medaglia al disvalore che si aggiunge ad una già indecorosa collezione. Ma cosa non funziona nelle leggi dello Stato se, in dieci anni, il comune di un paese di 6500 abitanti è stato due volte sciolto per mafia e un’altra spada di Damocle è pronta a sferrare il terzo fendente? Cosa c’è che non va negli accertamenti penali, qualora vengano svolti in seguito agli scioglimenti, se non viene impedito a taluni elementi di continuare ad operare in ambiti comunali come uffici tecnici, legali e finanziari, veri cuori pulsanti di un comune? E soprattutto, che ha ruolo ha nella capillarità del fenomeno mafioso la società civile, in una parola i cittadini? Quello che si chiede alla magistratura è di puntare i riflettori su un contesto sociale, nella fattispecie la comunità nicoterese, la quale, in questa occasione, non ha mostrato segni di indignazione nei confronti di un atto manifestamente illegale, e su cui ora, secondo le indagini dei magistrati, pare vi sia ufficialmente impresso lo stigma della ndrangheta. La Nicotera dei convegni sulla legalità, della cultura, dell’associazionismo, della politica, della chiesa è rimasta chiusa in un incomprensibile silenzio. “La mafia uccide, il silenzio pure”, aveva scritto Peppino Impastato. Una frase sempre attuale, ma che dovrebbe spingere gli organi competenti a chiedersi dove affonda le sue radici questo silenzio. Sfiducia nello Stato, quindi paura di esporsi? Quello che è certo è che a Nicotera i presidi di legalità sono scomparsi uno ad uno: la tenenza della Guardia di Finanza di Nicotera Marina è stata soppressa, dopo quasi un secolo di onorato servizio; la caserma dei Carabinieri di Nicotera conta poche unità, né viene potenziata: la sicurezza è affidata a pochi militari costretti a sobbarcarsi un lavoro enorme, mentre l’impianto di video sorveglianza è ormai un miraggio. Queste sono le condizioni di una cittadina posta alla frontiera della provincia di Vibo, a due passi dalla famigerata Rosarno, in un punto di confine tra due territori dominati dalla criminalità organizzata, ormai strutturata ed egemone. E così, in questo contesto, non un’anima viva si è fatta avanti per dire due parole su una Nicotera che non è come è stata rappresentata, ma che è cultura, legalità, battaglie civili. Nessuno se l’è sentita di rivendicarlo. Anche se è lecito presumere che alle prossime elezioni il campo sarà invaso da un folto drappello di aspiranti sindaci che scenderanno nell’agone del perpetuo scioglimento.
Domandarsi quanto consenso e linfa vitale apporti questo atteggiamento omissivo alla causa della cultura mafiosa imperante è doveroso.

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