La città pare non
riesca ad emergere dalle spire di una cultura mafiosa che, nella sua pervasità,
l’ha incatenata a una situazione sconfortante: con questa, qualora il comune
venga sciolto per mafia, per Nicotera sarà la terza medaglia al disvalore che si
aggiunge ad una già indecorosa collezione. Ma cosa non funziona nelle leggi
dello Stato se, in dieci anni, il comune di un paese di 6500 abitanti è stato
due volte sciolto per mafia e un’altra spada di Damocle è pronta a sferrare il
terzo fendente? Cosa c’è che non va negli accertamenti penali, qualora vengano
svolti in seguito agli scioglimenti, se non viene impedito a taluni elementi di
continuare ad operare in ambiti comunali come uffici tecnici, legali e
finanziari, veri cuori pulsanti di un comune? E soprattutto, che ha ruolo ha
nella capillarità del fenomeno mafioso la società civile, in una parola i
cittadini? Quello che si chiede alla magistratura è di puntare i riflettori
su un contesto sociale, nella fattispecie la comunità nicoterese, la quale, in
questa occasione, non ha mostrato segni di indignazione nei confronti di un
atto manifestamente illegale, e su cui ora, secondo le indagini dei magistrati,
pare vi sia ufficialmente impresso lo stigma della ndrangheta. La Nicotera dei
convegni sulla legalità, della cultura, dell’associazionismo, della politica,
della chiesa è rimasta chiusa in un incomprensibile silenzio. “La mafia uccide,
il silenzio pure”, aveva scritto Peppino Impastato. Una frase sempre attuale,
ma che dovrebbe spingere gli organi competenti a chiedersi dove affonda le sue
radici questo silenzio. Sfiducia nello Stato, quindi paura di esporsi? Quello
che è certo è che a Nicotera i presidi di legalità sono scomparsi uno ad uno:
la tenenza della Guardia di Finanza di Nicotera Marina è stata soppressa, dopo
quasi un secolo di onorato servizio; la caserma dei Carabinieri di Nicotera
conta poche unità, né viene potenziata: la sicurezza è affidata a pochi
militari costretti a sobbarcarsi un lavoro enorme, mentre l’impianto di video
sorveglianza è ormai un miraggio. Queste sono le condizioni di una cittadina
posta alla frontiera della provincia di Vibo, a due passi dalla famigerata
Rosarno, in un punto di confine tra due territori dominati dalla criminalità organizzata,
ormai strutturata ed egemone. E così, in questo contesto, non un’anima viva si
è fatta avanti per dire due parole su una Nicotera che non è come è stata
rappresentata, ma che è cultura, legalità, battaglie civili. Nessuno se l’è
sentita di rivendicarlo. Anche se è lecito presumere che alle prossime elezioni
il campo sarà invaso da un folto drappello di aspiranti sindaci che scenderanno
nell’agone del perpetuo scioglimento.
Domandarsi quanto
consenso e linfa vitale apporti questo atteggiamento omissivo alla causa della
cultura mafiosa imperante è doveroso.
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