Nicotera
La
sala consiliare di Palazzo Convento si è trasformata ieri sera nel santuario
della solidarietà e della doglianza. Intorno al sindaco le varie autorità
istituzionali, sindaci, e tantissimi cittadini comuni.
Parole bellissime,
erogate a fiumi dai convenuti, parole che, come un balsamo, avrebbero voluto
lenire il dolore e la costernazione di un sindaco dal volto visibilmente
tirato.
Pina Lapa nel leggere un comunicato iniziale
ha la voce rotta dall’emozione. Parla a nome della giunta. Fa sapere alle
istituzioni che la compagine amministrativa è pronta a restituire le chiavi
della città laddove le istituzioni, chi è addetto alla sicurezza e alla
vigilanza, non garantisca adeguata protezione e sostegno. Discorsi
appassionati, parole sapientemente scelte dai relatori per esprimere condanna,
sdegno, vicinanza.
Nazzareno Salerno, in
un tuonante e accorato intervento, auspica la rivoluzione delle coscienze.
Esprime tutta la sua condanna, invita il sindaco a non mollare, “sarebbe una
sconfitta”, dice. Parole condivise dalla platea, che manifesta il suo assenso
in un applauso scrosciante. Un’assemblea partecipata, ritmata da intense parole,
applausi e ancora parole. Eppure, il volto del sindaco continua a restare teso.
Egli a tratti sembra assente, come prigioniero della sua angoscia. Sa bene che
prima o poi finirà il rito della doglianza, sa bene che una volta finita la
celebrazione dello sdegno collettivo e quando si cheterà l’onda emotiva, lui
sarà solo ad affrontare le problematiche, le angosce e i nemici nascosti, come
un re senza scorta e senza corazza.
Allo stesso modo la sua
città, ora al centro dell’attenzione dei media, ripiomberà nell’incertezza, e,
dalla notte del 26 giugno, nella paura.
Ma Franco Pagano ha
detto chiaramente di non voler indossare le vesti dell’eroe, perché, egli dice,
nessun cittadino in una società civile, dovrebbe vestire i panni dell’eroe.
Nessuno dovrebbe immolarsi.
Per tutti i relatori,
come svegliatisi bruscamente da un sogno, è sconvolgente scoprire che c’è gente
che gira a Nicotera con i kalashnikov. Non si può immaginare autovetture con a
bordo cecchini che sembrano giungere dall’Afghanistan o da qualsiasi altro
paese di guerra. Ma i cittadini, piccoli e indifesi, hanno sempre saputo di
vivere in trincea.
Il giorno dopo l’attentato
la città appare ancora stranita, come un pianeta che cerca di riaversi dopo i
bombardamenti durante una guerra cruenta. La gente si interroga sull’accaduto,
cerca di farsi una propria opinione, qualcuno ipotizza scenari futuri, molti si
lasciano andare ad analisi sociopolitiche, altri a sperequazioni criminologiche,
altri ancora ad amare esternazioni di rassegnazione, qualcuno dichiara che
vorrebbe fuggire via da una città stritolata dai tentacoli della ndrangheta,
altri vorrebbero resistere. Davanti ai bar capannelli di cittadini si scambiano
le loro impressioni, è un parlare fitto fitto e a bassa voce, un dire e non
dire. Questo è il tempo dei “perché”, dei “se”, e dei “ma”. Vicino Palazzo
Convento un gruppetto di amministratori, amici e colleghi del sindaco, parlano
tra di loro. Volti tirati, il sentimento di costernazione potrebbe tagliarsi
col coltello. La sensazione è che si vive su una bomba orologeria che può
esplodere quando meno te lo aspetti e disintegrare, in una manciata di secondi speranze
e aspettative. Le statistiche dicono che la Calabria sta rivivendo una nuova
ondata di migrazione: moltissimi giovani girano i tacchi e dicono addio ai loro
paesi, alla ricerca di una terra migliore dove possano attecchire i loro sogni
e costruire il futuro. Il canto del kalashnikov incentiva l’esodo dei giovani
verso la terra promessa.
Ma Nicotera ieri sera si è stretta intorno al suo sindaco. Non vuole
lasciarlo solo. Chissà se questo basterà a consolarlo.
Enza Dell’Acqua
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