lunedì 21 ottobre 2019

Operazione "Terra nostra". 20 milioni di euro sequestrati a Giovanni Mancuso.


Ammontano esattamente a un totale di 20 milioni di euro i beni sequestrati nella mattinata di oggi a Giovanni Mancuso, detto “Billy”, esponente dell’omonimo clan, notoriamente egemone nel territorio vibonese. L’operazione, denominata “Terra nostra”, è stata eseguita dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Vibo Valentia, coordinati dal Procuratore della Repubblica di Catanzaro, dott. Nicola Gratteri, dal Procuratore Aggiunto, dott. Vincenzo Capomolla e dai Sostituti Procuratori, dott. Antonio De Bernardo e dott. Pasquale Mandolfino. E’ stato messo a segno un sequestro di beni, per un valore complessivo, come specificato, di circa 20 milioni di euro: provvedimento emesso dal Tribunale di Catanzaro (Seconda Sezione Penale) che, come riporta la relativa nota stampa divulgata dalla Guardia di  Finanza, ha accolto quasi integralmente l’articolata proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca nei confronti di Giovanni Mancuso, nato a Limbadi l’1 gennaio 1941, noto esponente di spicco dell’omonima cosca di ‘ndrangheta. Mancuso è stato ritenuto un soggetto di “pericolosità sociale qualificata: gli inquirenti hanno ricostruito con perizia certosina il profilo e l’attività delinquenziale di Giovanni Mancuso. Un percorso, scrivono le Fiamme Gialle, che  «affonda le radici in un lontano passato, come emerge dalle condanne, sin dai primi anni ‘60, per reati contro il patrimonio, in materia di falso, porto abusivo di armi, pascolo abusivo, violenza per costringere altri a commettere un reato, oltraggio a pubblico ufficiale, violazioni alla normativa urbanistica ed edilizia e, soprattutto, per un fatto commesso nell’anno 1975, per sequestro di persona a scopo di estorsione; condanne che lo hanno costretto a prolungati periodi di detenzione». La misura di prevenzione patrimoniale applicata, si legge ancora nella nota, «ha preso in considerazione, sotto il profilo della pericolosità sociale, i fatti che hanno riguardato il Mancuso relativi al periodo temporale decorrente dall’anno 2004 e, in particolare, quelli che hanno formato oggetto del procedimento penale concluso, il 27 marzo 2013, con l’operazione antimafia “Black Money “, contro il clan Mancuso, coordinata dalla stessa D.D.A.». Gli accertamenti patrimoniali successivamente svolti dalla Guardia di Finanza, delegati dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno permesso di ricostruire il vasto patrimonio posseduto da Giovanni Mancuso. Complessivamente, sono stati individuati e sequestrati, in vista della loro confisca, i seguenti beni: 92 terreni, ubicati nei comuni di Limbadi, Nicotera, Rombiolo, Zungri, Drapia e Filandari, della provincia di Vibo Valentia; 16 fabbricati, di cui 2 capannoni industriali, ubicati nei comuni di Limbadi e Filandari, della provincia di Vibo Valentia e Milano (in un caso); 9 autoveicoli e 1 trattore agricolo; 2 aziende agricole, con sede in Limbadi; 2 ditte individuali, delle quali una esercente l’attività di stazione di servizio, con sede in Filandari. Secondo le indagini effettuate, l’acquisizione dei beni rinvenibili nel patrimonio sottoposto a sequestro riflette una procedura «che soltanto in apparenza rispetta i canoni della legalità e trasparenza, ma che a ben vedere nasconde i meccanismi perversi del metodo mafioso». Molti di tali beni, scrivono ancora gli estensori della nota, sono stati infatti acquisiti «con modalità indicative tipiche dell’agire illecito del Mancuso (ovvero per usucapione o, talvolta, quale verosimile corrispettivo di attività di carattere usuraio), approfittando dello stato di bisogno dei legittimi proprietari e sfruttando la forza del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento alla famiglia Mancuso». L’acquisto dei terreni per usucapione è, per quanto accertato dagli inquirenti, un’altra modalità assai frequente in cui si manifesta il potere intimidatorio dei Mancuso, che «sfruttando l’egemonia sul proprio territorio, occupano abusivamente i terreni, esercitandovi a titolo gratuito attività agricola, assicurandosi la percezione di contributi pubblici erogati dall’Arcea ed acquistandoli successivamente con il decorso del tempo, sfruttando l’inerzia dei legittimi proprietari, che si guardano bene dall’intentare cause civilistiche, per il timore di subire minacce e ritorsioni». L’attività investigativa ha consentito di accertare che il modus operandi della famiglia Mancuso ricorre all’acquisizione di beni a costo zero, «acquisizione che in seguito è trasferita a soggetti appartenenti ad altri familiari, in modo da rendere più complessa e onerosa l’attività investigativa». A titolo esplicativo, i finanzieri riportano nella nota un caso in specie: «nel corso della presente attività di indagine, il defunto Pasquale Molino (classe ‘27), suocero di Silvana Mancuso, figlia di Giovanni, ha trasferito nell’anno 2014, attraverso un atto testamentario olografo, un cospicuo patrimonio immobiliare di terreni e fabbricati, siti in Limbadi e Nicotera, all’omonimo nipote, classe 1989, figlio di Silvana». Il trasferimento della proprietà era dunque a “costo zero”, essendo stato effettuato due anni dopo la morte del nonno paterno; un atto all’apparenza legittimo ma che grazie agli approfondimenti della Guardia di Finanza,  è risultato falso poiché scritturato sotto dettatura da una persona diversa dal defunto. Le indagini hanno consentito di accertare che Pasquale Molino, classe 1927, «altro non era che un prestanome di Giovanni Mancuso, al quale negli anni 60/70 erano stati intestati terreni, che di fatto gestiva il secondo e che quindi con l’atto testamentario sarebbero ritornati nell’effettiva disponibilità e proprietà della famiglia Mancuso, nello specifico Pasquale Molino, classe 1989, che rappresenta la terza generazione della dinastia».

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