Ammontano esattamente a
un totale di 20 milioni di euro i beni sequestrati nella mattinata di oggi a
Giovanni Mancuso, detto “Billy”, esponente dell’omonimo clan, notoriamente
egemone nel territorio vibonese. L’operazione, denominata “Terra nostra”, è
stata eseguita dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di
Vibo Valentia, coordinati dal Procuratore della Repubblica di Catanzaro, dott.
Nicola Gratteri, dal Procuratore Aggiunto, dott. Vincenzo Capomolla e dai
Sostituti Procuratori, dott. Antonio De Bernardo e dott. Pasquale Mandolfino.
E’ stato messo a segno un sequestro di beni, per un valore complessivo, come
specificato, di circa 20 milioni di euro: provvedimento emesso dal Tribunale di
Catanzaro (Seconda Sezione Penale) che, come riporta la relativa nota stampa
divulgata dalla Guardia di Finanza, ha
accolto quasi integralmente l’articolata proposta di applicazione della misura
di prevenzione patrimoniale della confisca nei confronti di Giovanni Mancuso,
nato a Limbadi l’1 gennaio 1941, noto esponente di spicco dell’omonima cosca di
‘ndrangheta. Mancuso è stato ritenuto un soggetto di “pericolosità sociale
qualificata: gli inquirenti hanno ricostruito con perizia certosina il profilo
e l’attività delinquenziale di Giovanni Mancuso. Un percorso, scrivono le
Fiamme Gialle, che «affonda le radici in
un lontano passato, come emerge dalle condanne, sin dai primi anni ‘60, per
reati contro il patrimonio, in materia di falso, porto abusivo di armi, pascolo
abusivo, violenza per costringere altri a commettere un reato, oltraggio a
pubblico ufficiale, violazioni alla normativa urbanistica ed edilizia e,
soprattutto, per un fatto commesso nell’anno 1975, per sequestro di persona a
scopo di estorsione; condanne che lo hanno costretto a prolungati periodi di
detenzione». La misura di prevenzione patrimoniale applicata, si legge ancora
nella nota, «ha preso in considerazione, sotto il profilo della pericolosità
sociale, i fatti che hanno riguardato il Mancuso relativi al periodo temporale
decorrente dall’anno 2004 e, in particolare, quelli che hanno formato oggetto
del procedimento penale concluso, il 27 marzo 2013, con l’operazione antimafia
“Black Money “, contro il clan Mancuso, coordinata dalla stessa D.D.A.». Gli
accertamenti patrimoniali successivamente svolti dalla Guardia di Finanza,
delegati dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno permesso di ricostruire
il vasto patrimonio posseduto da Giovanni Mancuso. Complessivamente, sono stati
individuati e sequestrati, in vista della loro confisca, i seguenti beni: 92
terreni, ubicati nei comuni di Limbadi, Nicotera, Rombiolo, Zungri, Drapia e
Filandari, della provincia di Vibo Valentia; 16 fabbricati, di cui 2 capannoni
industriali, ubicati nei comuni di Limbadi e Filandari, della provincia di Vibo
Valentia e Milano (in un caso); 9 autoveicoli e 1 trattore agricolo; 2 aziende
agricole, con sede in Limbadi; 2 ditte individuali, delle quali una esercente
l’attività di stazione di servizio, con sede in Filandari. Secondo le indagini
effettuate, l’acquisizione dei beni rinvenibili nel patrimonio sottoposto a
sequestro riflette una procedura «che soltanto in apparenza rispetta i canoni
della legalità e trasparenza, ma che a ben vedere nasconde i meccanismi
perversi del metodo mafioso». Molti di tali beni, scrivono ancora gli estensori
della nota, sono stati infatti acquisiti «con modalità indicative tipiche
dell’agire illecito del Mancuso (ovvero per usucapione o, talvolta, quale
verosimile corrispettivo di attività di carattere usuraio), approfittando dello
stato di bisogno dei legittimi proprietari e sfruttando la forza del vincolo
associativo e della condizione di assoggettamento alla famiglia Mancuso».
L’acquisto dei terreni per usucapione è, per quanto accertato dagli inquirenti,
un’altra modalità assai frequente in cui si manifesta il potere intimidatorio
dei Mancuso, che «sfruttando l’egemonia sul proprio territorio, occupano
abusivamente i terreni, esercitandovi a titolo gratuito attività agricola,
assicurandosi la percezione di contributi pubblici erogati dall’Arcea ed
acquistandoli successivamente con il decorso del tempo, sfruttando l’inerzia
dei legittimi proprietari, che si guardano bene dall’intentare cause
civilistiche, per il timore di subire minacce e ritorsioni». L’attività
investigativa ha consentito di accertare che il modus operandi della famiglia
Mancuso ricorre all’acquisizione di beni a costo zero, «acquisizione che in
seguito è trasferita a soggetti appartenenti ad altri familiari, in modo da
rendere più complessa e onerosa l’attività investigativa». A titolo
esplicativo, i finanzieri riportano nella nota un caso in specie: «nel corso
della presente attività di indagine, il defunto Pasquale Molino (classe ‘27),
suocero di Silvana Mancuso, figlia di Giovanni, ha trasferito nell’anno 2014,
attraverso un atto testamentario olografo, un cospicuo patrimonio immobiliare
di terreni e fabbricati, siti in Limbadi e Nicotera, all’omonimo nipote, classe
1989, figlio di Silvana». Il trasferimento della proprietà era dunque a “costo
zero”, essendo stato effettuato due anni dopo la morte del nonno paterno; un
atto all’apparenza legittimo ma che grazie agli approfondimenti della Guardia
di Finanza, è risultato falso poiché
scritturato sotto dettatura da una persona diversa dal defunto. Le indagini
hanno consentito di accertare che Pasquale Molino, classe 1927, «altro non era
che un prestanome di Giovanni Mancuso, al quale negli anni 60/70 erano stati
intestati terreni, che di fatto gestiva il secondo e che quindi con l’atto
testamentario sarebbero ritornati nell’effettiva disponibilità e proprietà
della famiglia Mancuso, nello specifico Pasquale Molino, classe 1989, che
rappresenta la terza generazione della dinastia».
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