Nicotera. Cosa significa essere cronisti di
provincia? Cosa significa raccontare una realtà che non vuole essere
raccontata? Quello che significa l’ho imparato sulla mia pelle, scrivendo
giorno dopo giorno per un paese come Nicotera. Crogiolo di storia, di cultura e
di enormi potenzialità, ridotto a un paesello svuotato e impoverito. Tante le
criticità che la riguardano. Si va dall’ambiente non tutelato alle strade
dissestate, ad una economia morente, alla cementificazione senza regole e
criteri, ai disservizi. Scrivere di questi problemi è una scelta complicata e
un grosso rischio. In pochi infatti capiranno che quello che denunci, in quanto
caratterizzato da ferma adesione alle realtà, è pervaso da rammarico, e non da
critica corrosiva. Per molti altri stai semplicemente “parlando male” del tuo
paese, ne stai compromettendo lo sviluppo turistico. Accuse insensate, prive di
logica. Come se, a mettere a rischio il turismo di Nicotera, non è il mare
ridotto a una cloaca, ma il fatto che un giornalista, semplicemente, lo scriva.
Da
quando scrivo per Nicotera non nego di aver paura della mafia, spettro perenne
a queste latitudini. Ma, andando avanti con la mia attività, ho capito che
ancor più temibile della mafia è la mentalità mafiosa, la cultura mafiosa, ed è
quella con cui io sto avendo degli incontri molto ravvicinati: la mentalità
mafiosa è sostanzialmente negazionista. Tende a negare che un problema ci sia.
Sottolinearlo significa candidarsi a diventare un nemico da odiare, da esporre
al pubblico ludibrio, da attaccare nei consigli comunali, sui social network. Attacchi
animati da un masochistico, quanto inspiegabile, zelo volto a mantenere intatto
il pietoso status quo.
Il
cronista intellettualmente onesto, che fa ricerca e inchiesta, è visto
dall’amministrazione come un intruso, uno che ti piomba in casa per dirti che
hai la polvere sui mobili o i letti sfatti, perché, in effetti, il comune, per atavico retaggio, è visto, da chi
amministra, come casa propria, da cui il giornalista ficcanaso deve stare alla
larga. Allo stesso modo, molti altri, per una serie svariata di motivi, si
profondono in atteggiamenti delegittimatori, quando non criticamente
aggressivi. Salvo poi scoprire che i delegittimatori per vocazione altro non
sono che un prolungamento virtuale, ma non troppo, di chi detiene un briciolo
di potere, per la verità assai effimero, in un paese malandato di poco più di
seimila anime.
Enza
Dell’Acqua
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