giovedì 14 aprile 2016

Cosa significa essere cronisti di provincia.



Nicotera. Cosa significa essere cronisti di provincia? Cosa significa raccontare una realtà che non vuole essere raccontata? Quello che significa l’ho imparato sulla mia pelle, scrivendo giorno dopo giorno per un paese come Nicotera. Crogiolo di storia, di cultura e di enormi potenzialità, ridotto a un paesello svuotato e impoverito. Tante le criticità che la riguardano. Si va dall’ambiente non tutelato alle strade dissestate, ad una economia morente, alla cementificazione senza regole e criteri, ai disservizi. Scrivere di questi problemi è una scelta complicata e un grosso rischio. In pochi infatti capiranno che quello che denunci, in quanto caratterizzato da ferma adesione alle realtà, è pervaso da rammarico, e non da critica corrosiva. Per molti altri stai semplicemente “parlando male” del tuo paese, ne stai compromettendo lo sviluppo turistico. Accuse insensate, prive di logica. Come se, a mettere a rischio il turismo di Nicotera, non è il mare ridotto a una cloaca, ma il fatto che un giornalista, semplicemente, lo scriva.
Da quando scrivo per Nicotera non nego di aver paura della mafia, spettro perenne a queste latitudini. Ma, andando avanti con la mia attività, ho capito che ancor più temibile della mafia è la mentalità mafiosa, la cultura mafiosa, ed è quella con cui io sto avendo degli incontri molto ravvicinati: la mentalità mafiosa è sostanzialmente negazionista. Tende a negare che un problema ci sia. Sottolinearlo significa candidarsi a diventare un nemico da odiare, da esporre al pubblico ludibrio, da attaccare nei consigli comunali, sui social network. Attacchi animati da un masochistico, quanto inspiegabile, zelo volto a mantenere intatto il pietoso status quo.
Il cronista intellettualmente onesto, che fa ricerca e inchiesta, è visto dall’amministrazione come un intruso, uno che ti piomba in casa per dirti che hai la polvere sui mobili o i letti sfatti, perché, in effetti, il  comune, per atavico retaggio, è visto, da chi amministra, come casa propria, da cui il giornalista ficcanaso deve stare alla larga. Allo stesso modo, molti altri, per una serie svariata di motivi, si profondono in atteggiamenti delegittimatori, quando non criticamente aggressivi. Salvo poi scoprire che i delegittimatori per vocazione altro non sono che un prolungamento virtuale, ma non troppo, di chi detiene un briciolo di potere, per la verità assai effimero, in un paese malandato di poco più di seimila anime.
Enza Dell’Acqua

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