Abbiamo rivolto alcune
domande di stringente attualità inerenti temi della sicurezza e della legalità
a Lia Staropoli, presidente di Condivisa, l’unica associazione a sostegno delle
forze dell’Ordine, delle Forse Armate e dell’Intelligence, componente del
movimento antimafia “Ammazzateci tutti”, nonché legale dei poliziotti del Sap.
Come
è maturata la sua vocazione per la legalità?
«A
considerarla una vocazione non mi ci abituerò mai, perché deve essere un
requisito insito nella coscienza e nella condotta di ogni cittadino onesto,
dovrebbe essere una regola e invece, aimè, è ancora un’eccezione. È
perfettamente normale schierasi dalla parte della legalità e delle Forze
dell’Ordine per questo ho voluto approfondire i miei studi su come invece
maturasse l’inclinazione contraria, prevalente in certi contesti, quella
avversione nei confronti delle Forze dell’Ordine e di conseguenza nella
legalità. Ho riscontrato che la differenza fondamentale è connessa alla
famiglia e al percorso formativo. Oltre ad avere la fortuna di nascere in una
famiglia onesta dove i valori vengono trasmessi con gli esempi e con i
sacrifici che un figlio percepisce e acquisisce inevitabilmente».
La
legittimazione del potere mafioso passa anche attraverso l’uso quasi sublimale
dei simboli religiosi. Ne parla nel suo libro “La santa setta”. Può spiegare
come nasce questo libro?
«Ogni psiche si nutre di simboli e i simboli
religiosi in un contesto prevalentemente cattolico, assumono un significato
particolarmente affidabile, quando vengono strumentalizzati, hanno il potere di
controllare gran parte dei cittadini e di acquisire i loro consensi. Così le
‘ndrine si costruiscono la propria propaganda esterna. Mentre all’interno della
‘ndrangheta, i simboli religiosi e le formule auto ipnotiche, ossessivamente
ripetute, hanno la facoltà di aumentare la coesione psicologica del neofita,
proprio come in una setta. Una eterna lotta quella per acquisire consenso
sociale, requisito determinante per la ‘ndrangheta. In questo particolare
periodo il consenso sociale è diventato “consenso social” e, i simboli che
servono per celare intenti abietti non
sono solo quelli religiosi, ad esempio troviamo gente, che nulla a che fare con
la legalità che espone in primo piano immagini di Falcone e Borsellino sempre
per celare, qualcuno in maniera molto maldestra, i soliti turpi scopi, consenso
sociale, finanziamenti pubblici e diffusione di ideologie pericolose».
Non
si sente in pericolo nell’additare e contrastare il male supremo del territorio
?
«Ho ben chiari molti rischi, ma ho tantissima
fiducia nell’operato delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. I pericoli
non provengono da una sola parte purtroppo ed è necessario avere il coraggio di
definire ogni cosa con il proprio nome. Mi sento tutelata dall’Arma dei
Carabinieri, per me è motivo di grande orgoglio la vicinanza del Comandante
Generale Tullio del Sette che, venendo fino a Vibo Valentia per la
presentazione del mio libro ha dato un chiaro segnale di supporto al mio
operato. Sostegno che non mi è mai mancato da parte del Comandante Legione
Calabria Andrea Rispoli e del Comandante Interregionale Silvio Ghiselli. Ma
soprattutto devo molto alla pattuglia degli uomini del Comandante Carmine Cesa
a Limbadi e del Comandante Raffaele Castelli a Nicotera e, per questo intendo
rivolgere un ringraziamento al Colonnello Daniele Scardecchia e al Capitano
Francesco Manzone. Non mi è mai mancato il sostegno delle Forze dell’Ordine
tutte, a dire il vero in questi anni,
per questo motivo mi sento abbastanza al sicuro. Inoltre ho imparato a sparare
ed ho richiesto il porto d’armi per difesa».
Parliamo
di sicurezza. Le caserme e gli agenti attualmente presenti in un territorio
come il nostro, sono sufficienti?
«Con i pochi uomini e
mezzi a disposizione e, soprattutto con moltissimi sacrifici, Carabinieri,
Militari della Guardia di Finanza e Poliziotti riescono a portare a termine le
migliori operazioni contro ogni forma di criminalità. I presidi di legalità non
bastano e per le caserme paghiamo affitti d’oro a privati per immobili che
cadono a pezzi. Gli immobili sequestrati alla ‘ndrangheta dovrebbero essere
tutti trasformati in caserme o in alloggi di servizio».
La
cronaca ci riporta episodi per cui molti cittadini si rivolgono al capobastone
del loro territorio per risolvere un problema. Perché si verificano episodi del
genere?
«Il malavitoso deve restare in carcere e non deve
avere nessuna opportunità di esercitare la propria forza intimidatrice verso i
cittadini. Allo stesso modo qualche cittadino dovrebbe piantarla di conferire
consenso sociale ai mafiosi e, anziché fare la fila al bar ad offrire il caffè
a boss e ad affiliati dovrebbe farla in caserma per segnalare e denunciare,
perché la sicurezza deve essere un obbiettivo comune tra cittadini e Forze
dell’Ordine. Ma soprattutto il mafioso è niente senza consenso sociale, e senza
“consenso social”. Quei pochi cittadini che si rivolgono ai mafiosi devono
essere considerati come fiancheggiatori».
Nelle
file delle forze dell’Ordine vi sono alcune mele marce, non rischiano di
offuscare l’immagine della divisa?
«In ogni caso deve essere perseguita
e condannata ogni condotta illegale ma, molte vicende che hanno occupato per
decenni le prime pagine dei giornali mi pare finiscano per assumere dei
significati differenti. Questa delegittimazione costante finisce per
disincentivare i cittadini a collaborare con gli uomini e le donne delle Forze
dell’Ordine che invece sono alleati dei cittadini contro ogni forma di
criminalità. A questo proposito vorrei richiamare l’attenzione sul caso del
Maresciallo Antonio Taibi, ucciso dal padre di due spacciatori che aveva
arrestato. Vittima del dovere ma anche
vittima della delegittimazione che alimenta l’avversione nei confronti delle
divise, molti non comprendono che se i propri congiunti delinquono non è di
certo colpa dei Carabinieri che li arrestano.
La delegittimazione incessante e ingiusta è un modus operandi che conosce bene la ‘ndrangheta e se ne serve da sempre, come si desume da numerose intercettazioni ambientali».
La delegittimazione incessante e ingiusta è un modus operandi che conosce bene la ‘ndrangheta e se ne serve da sempre, come si desume da numerose intercettazioni ambientali».
Cosa
pensa dell’attuale legislazione sugli scioglimenti dei comuni per infiltrazioni
mafiose?
«La legge si basa sul sospetto ma se la commissione
di accesso non trova riscontri oggettivi l’ente non viene sciolto. Il problema
è sempre preesistente alla candidatura, frequentazioni e parentele di alcuni
amministratori non sono una novità. Spesso le persone che per la legge
risultano incensurate, in caserma hanno pagine di frequentazioni pericolose. Ci
ritroviamo persone intercettate mentre chiedono consenso elettorale ai boss
ricoprire incarichi amministrativi ed indossare la fascia tricolore. Questo la
legge non dovrebbe consentirlo ma è necessario anche il voto responsabile dei
cittadini che, bene conoscono le frequentazioni dei candidati nei piccoli
centri».
Perchè
nei passati scioglimenti dei consigli per mafia la parte politica ha sempre
pagato mentre l’apparato amministrativo-burocratico sembra sempre essere esente
da qualsivoglia responsabilità? Perché viene penalizzato il politico e non il
burocrate?
«Serve un’attenzione maggiore del legislatore perché, a mio
avviso, la responsabilità sta non solo nel politico ma anche nel tecnico che avalla
questo sistema consolidato tra ndrangheta e amministrazione».
Cosa
farebbe per incentivare la nascita di una vocazione collettiva alle legalità,
che rilanci un territorio sottomesso e sfiduciato?
«Le scuole e le associazioni potrebbero e dovrebbero
incentivare la nascita di una vocazione collettiva alla legalità, qualcosa di
analogo e gratuito lo abbiamo avviato con la dirigente del Liceo Scientifico
“Berto” di Vibo Valentia, la professoressa Teresa Goffredo che ringrazio
sentitamente. Scuole e associazioni antimafia dovrebbero impegnarsi senza
battere cassa sui progetti finanziati dai fondi pon perché la legalità la si
predica gratis e prima di tutto con l’esempio. Ma se in cattedra ci piazzano
persone che con la legalità hanno davvero poco a che fare, sponsorizzate da
associazioni che il presidente del Senato Grasso definisce “ dedite alla corsa
al finanziamento pubblico e privato” e, come se non bastasse diffondono
ideologie pericolose continueremo a concludere ben poco. Anche per questo
ripongo tutta la mia fiducia nelle indagini delle forze dell’ordine, serve una
linea netta di demarcazione».
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