giovedì 7 aprile 2016

Intervista integrale a Lia Staropoli, presidente di Condivisa e componente del movimento antimafia Ammazzateci tutti.



Abbiamo rivolto alcune domande di stringente attualità inerenti temi della sicurezza e della legalità a Lia Staropoli, presidente di Condivisa, l’unica associazione a sostegno delle forze dell’Ordine, delle Forse Armate e dell’Intelligence, componente del movimento antimafia “Ammazzateci tutti”, nonché legale dei poliziotti del Sap.
Come è maturata la sua vocazione per la legalità?
«A considerarla una vocazione non mi ci abituerò mai, perché deve essere un requisito insito nella coscienza e nella condotta di ogni cittadino onesto, dovrebbe essere una regola e invece, aimè, è ancora un’eccezione. È perfettamente normale schierasi dalla parte della legalità e delle Forze dell’Ordine per questo ho voluto approfondire i miei studi su come invece maturasse l’inclinazione contraria, prevalente in certi contesti, quella avversione nei confronti delle Forze dell’Ordine e di conseguenza nella legalità. Ho riscontrato che la differenza fondamentale è connessa alla famiglia e al percorso formativo. Oltre ad avere la fortuna di nascere in una famiglia onesta dove i valori vengono trasmessi con gli esempi e con i sacrifici che un figlio percepisce e acquisisce inevitabilmente».
La legittimazione del potere mafioso passa anche attraverso l’uso quasi sublimale dei simboli religiosi. Ne parla nel suo libro “La santa setta”. Può spiegare come nasce questo libro?
«Ogni psiche si nutre di simboli e i simboli religiosi in un contesto prevalentemente cattolico, assumono un significato particolarmente affidabile, quando vengono strumentalizzati, hanno il potere di controllare gran parte dei cittadini e di acquisire i loro consensi. Così le ‘ndrine si costruiscono la propria propaganda esterna. Mentre all’interno della ‘ndrangheta, i simboli religiosi e le formule auto ipnotiche, ossessivamente ripetute, hanno la facoltà di aumentare la coesione psicologica del neofita, proprio come in una setta. Una eterna lotta quella per acquisire consenso sociale, requisito determinante per la ‘ndrangheta. In questo particolare periodo il consenso sociale è diventato “consenso social” e, i simboli che servono per celare intenti  abietti non sono solo quelli religiosi, ad esempio troviamo gente, che nulla a che fare con la legalità che espone in primo piano immagini di Falcone e Borsellino sempre per celare, qualcuno in maniera molto maldestra, i soliti turpi scopi, consenso sociale, finanziamenti pubblici e diffusione di ideologie pericolose».  

Non si sente in pericolo nell’additare e contrastare il male supremo del territorio ?
«Ho ben chiari molti rischi, ma ho tantissima fiducia nell’operato delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. I pericoli non provengono da una sola parte purtroppo ed è necessario avere il coraggio di definire ogni cosa con il proprio nome. Mi sento tutelata dall’Arma dei Carabinieri, per me è motivo di grande orgoglio la vicinanza del Comandante Generale Tullio del Sette che, venendo fino a Vibo Valentia per la presentazione del mio libro ha dato un chiaro segnale di supporto al mio operato. Sostegno che non mi è mai mancato da parte del Comandante Legione Calabria Andrea Rispoli e del Comandante Interregionale Silvio Ghiselli. Ma soprattutto devo molto alla pattuglia degli uomini del Comandante Carmine Cesa a Limbadi e del Comandante Raffaele Castelli a Nicotera e, per questo intendo rivolgere un ringraziamento al Colonnello Daniele Scardecchia e al Capitano Francesco Manzone. Non mi è mai mancato il sostegno delle Forze dell’Ordine tutte, a dire il vero  in questi anni, per questo motivo mi sento abbastanza al sicuro. Inoltre ho imparato a sparare ed ho richiesto il porto d’armi per difesa».
Parliamo di sicurezza. Le caserme e gli agenti attualmente presenti in un territorio come il nostro, sono sufficienti?
«Con i pochi uomini e mezzi a disposizione e, soprattutto con moltissimi sacrifici, Carabinieri, Militari della Guardia di Finanza e Poliziotti riescono a portare a termine le migliori operazioni contro ogni forma di criminalità. I presidi di legalità non bastano e per le caserme paghiamo affitti d’oro a privati per immobili che cadono a pezzi. Gli immobili sequestrati alla ‘ndrangheta dovrebbero essere tutti trasformati in caserme o in alloggi di servizio».

La cronaca ci riporta episodi per cui molti cittadini si rivolgono al capobastone del loro territorio per risolvere un problema. Perché si verificano episodi del genere?
«Il malavitoso deve restare in carcere e non deve avere nessuna opportunità di esercitare la propria forza intimidatrice verso i cittadini. Allo stesso modo qualche cittadino dovrebbe piantarla di conferire consenso sociale ai mafiosi e, anziché fare la fila al bar ad offrire il caffè a boss e ad affiliati dovrebbe farla in caserma per segnalare e denunciare, perché la sicurezza deve essere un obbiettivo comune tra cittadini e Forze dell’Ordine. Ma soprattutto il mafioso è niente senza consenso sociale, e senza “consenso social”. Quei pochi cittadini che si rivolgono ai mafiosi devono essere considerati come fiancheggiatori». 

Nelle file delle forze dell’Ordine vi sono alcune mele marce, non rischiano di offuscare l’immagine della divisa?
«In ogni caso deve essere perseguita e condannata ogni condotta illegale ma, molte vicende che hanno occupato per decenni le prime pagine dei giornali mi pare finiscano per assumere dei significati differenti. Questa delegittimazione costante finisce per disincentivare i cittadini a collaborare con gli uomini e le donne delle Forze dell’Ordine che invece sono alleati dei cittadini contro ogni forma di criminalità. A questo proposito vorrei richiamare l’attenzione sul caso del Maresciallo Antonio Taibi, ucciso dal padre di due spacciatori che aveva arrestato.  Vittima del dovere ma anche vittima della delegittimazione che alimenta l’avversione nei confronti delle divise, molti non comprendono che se i propri congiunti delinquono non è di certo colpa dei Carabinieri che li arrestano.
La delegittimazione incessante e ingiusta è un modus operandi che conosce bene la ‘ndrangheta e se ne serve da sempre, come si desume da numerose intercettazioni ambientali».

Cosa pensa dell’attuale legislazione sugli scioglimenti dei comuni per infiltrazioni mafiose?
«La legge si basa sul sospetto ma se la commissione di accesso non trova riscontri oggettivi l’ente non viene sciolto. Il problema è sempre preesistente alla candidatura, frequentazioni e parentele di alcuni amministratori non sono una novità. Spesso le persone che per la legge risultano incensurate, in caserma hanno pagine di frequentazioni pericolose. Ci ritroviamo persone intercettate mentre chiedono consenso elettorale ai boss ricoprire incarichi amministrativi ed indossare la fascia tricolore. Questo la legge non dovrebbe consentirlo ma è necessario anche il voto responsabile dei cittadini che, bene conoscono le frequentazioni dei candidati nei piccoli centri».
Perchè nei passati scioglimenti dei consigli per mafia la parte politica ha sempre pagato mentre l’apparato amministrativo-burocratico sembra sempre essere esente da qualsivoglia responsabilità? Perché viene penalizzato il politico e non il burocrate?
«Serve un’attenzione maggiore del legislatore perché, a mio avviso, la responsabilità sta non solo nel politico ma anche nel tecnico che avalla questo sistema consolidato tra ndrangheta e amministrazione».

Cosa farebbe per incentivare la nascita di una vocazione collettiva alle legalità, che rilanci un territorio sottomesso e sfiduciato?
«Le scuole e le associazioni potrebbero e dovrebbero incentivare la nascita di una vocazione collettiva alla legalità, qualcosa di analogo e gratuito lo abbiamo avviato con la dirigente del Liceo Scientifico “Berto” di Vibo Valentia, la professoressa Teresa Goffredo che ringrazio sentitamente. Scuole e associazioni antimafia dovrebbero impegnarsi senza battere cassa sui progetti finanziati dai fondi pon perché la legalità la si predica gratis e prima di tutto con l’esempio. Ma se in cattedra ci piazzano persone che con la legalità hanno davvero poco a che fare, sponsorizzate da associazioni che il presidente del Senato Grasso definisce “ dedite alla corsa al finanziamento pubblico e privato” e, come se non bastasse diffondono ideologie pericolose continueremo a concludere ben poco. Anche per questo ripongo tutta la mia fiducia nelle indagini delle forze dell’ordine, serve una linea netta di demarcazione».

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