Nicotera.
La
città medmea è ancora alle prese con il fango e le criticità causate dalla
bomba d’acqua esplosa notte tra il 24 e il 25 agosto. La terza in pochi mesi.
La prima, quella del 19 giugno, è stata decisamente devastante. Un altro
vigoroso temporale si è verificato agli inizi di agosto e solo pochi giorni fa
una nuova alluvione ha riaperto la ferita, riportando alla ribalda i problemi
endemici, sul piano idrogeologico, del territorio nicoterese. Un dato è certo.
Il clima è ormai cambiato. Quello mediterraneo, temperato, sta diventando ormai
un dolce ricordo. Lo scenario si fa sempre più tropicale, con l’innalzamento
globale della temperatura e le piogge torrenziali. Un dato che è ormai
certificato da fonti autorevoli, come il sito governativo “Italia sicura” che
mette in guardia dalle insidie del cambiamento climatico in atto. Per quanto
riguarda Nicotera, è anch’essa, com’è noto, alle prese con le piogge
alluvionali di portata biblica. Ma c’è un dato che merita di essere sottolineato,
e riguarda il fatto che le piogge incessanti degli ultimi tempi hanno
drammaticamente messo in evidenza le enormi falle di quella Nicotera “moderna”,
edificata nell’ultimo trentennio, in via Madonna della Scala e via Filippella,
guarda caso le due aree puntualmente colpite dai tremendi effetti del maltempo.
Una semplice casualità? Il centro storico, che ha quasi mille anni di storia,
ha resistito agli attacchi del nubifragio. La parte nuova di Nicotera, invece,
con le piogge alluvionali ha cominciato a cedere. E tutto ha un suo perché. Dei
perché inenarrabili conservati nei meandri dell’ufficio tecnico comunale. Si sa
che da lì sono passate le concessioni, le autorizzazioni, i condoni edilizi di
fabbricati che non avrebbero mai dovuto sorgere nelle zone specificate. Zone
franose, non edificabili, che piani regolatori senza grazia di Dio hanno
convertito in aree edificabili con quegli effetti che ora sono sotto gli occhi
di tutti. Via Filippella, in particolare, è nota per i suoi enormi e orribili
muri di contenimento: strategie architettoniche per fortificare una zona che
oggettivamente non era fatta per veder sorgere come funghi villini e villette.
E poi c’è la questione dei fossi. Chi ha amministrato, chi ha tenuto le redini
dell’ufficio tecnico, probabilmente, non possedeva etica ambientale o
semplicemente ha agito in modo irresponsabile se ha permesso che si costruisse
addirittura dentro le fenditure del terreno, ovvero dei canaloni naturali che
hanno il compito di convogliare le acque e trasportarle al San Giovanni che poi
le consegna al mare. Un percorso virtuoso che salvaguarda il territorio. E
invece i fossi, preziosi snodi naturali di regimentazione delle acque, sono
stati occlusi, deviati, riempiti di cemento. Lo stesso dicasi della pulizia.
Praticamente inesistente. E questo è preoccupante se si pensa che il territorio
è praticamente lastricato da questi collettori. Se poi arriviamo ai famosi
allagamenti che vede protagonista la Marina, dovremmo chiederci con quale
criterio è stato progettato l’impianto fognario per cui da tempo immemorabile
dopo cinque minuti di pioggia i tombini saltano come tappi. Alla luce di questi
dati, è chiaro che i disastri causati dall’alluvione sono imputabili alla
sciatteria e all’incuria, ma soprattutto alla corruzione e al malaffare di chi
ha permesso che si violasse un territorio e la sua naturale conformità.
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