lunedì 3 settembre 2018

Alluvione del 25 agosto. Le colpe del disastro nei meandri dell’ufficio tecnico


Nicotera. La città medmea è ancora alle prese con il fango e le criticità causate dalla bomba d’acqua esplosa notte tra il 24 e il 25 agosto. La terza in pochi mesi. La prima, quella del 19 giugno, è stata decisamente devastante. Un altro vigoroso temporale si è verificato agli inizi di agosto e solo pochi giorni fa una nuova alluvione ha riaperto la ferita, riportando alla ribalda i problemi endemici, sul piano idrogeologico, del territorio nicoterese. Un dato è certo. Il clima è ormai cambiato. Quello mediterraneo, temperato, sta diventando ormai un dolce ricordo. Lo scenario si fa sempre più tropicale, con l’innalzamento globale della temperatura e le piogge torrenziali. Un dato che è ormai certificato da fonti autorevoli, come il sito governativo “Italia sicura” che mette in guardia dalle insidie del cambiamento climatico in atto. Per quanto riguarda Nicotera, è anch’essa, com’è noto, alle prese con le piogge alluvionali di portata biblica. Ma c’è un dato che merita di essere sottolineato, e riguarda il fatto che le piogge incessanti degli ultimi tempi hanno drammaticamente messo in evidenza le enormi falle di quella Nicotera “moderna”, edificata nell’ultimo trentennio, in via Madonna della Scala e via Filippella, guarda caso le due aree puntualmente colpite dai tremendi effetti del maltempo. Una semplice casualità? Il centro storico, che ha quasi mille anni di storia, ha resistito agli attacchi del nubifragio. La parte nuova di Nicotera, invece, con le piogge alluvionali ha cominciato a cedere. E tutto ha un suo perché. Dei perché inenarrabili conservati nei meandri dell’ufficio tecnico comunale. Si sa che da lì sono passate le concessioni, le autorizzazioni, i condoni edilizi di fabbricati che non avrebbero mai dovuto sorgere nelle zone specificate. Zone franose, non edificabili, che piani regolatori senza grazia di Dio hanno convertito in aree edificabili con quegli effetti che ora sono sotto gli occhi di tutti. Via Filippella, in particolare, è nota per i suoi enormi e orribili muri di contenimento: strategie architettoniche per fortificare una zona che oggettivamente non era fatta per veder sorgere come funghi villini e villette. E poi c’è la questione dei fossi. Chi ha amministrato, chi ha tenuto le redini dell’ufficio tecnico, probabilmente, non possedeva etica ambientale o semplicemente ha agito in modo irresponsabile se ha permesso che si costruisse addirittura dentro le fenditure del terreno, ovvero dei canaloni naturali che hanno il compito di convogliare le acque e trasportarle al San Giovanni che poi le consegna al mare. Un percorso virtuoso che salvaguarda il territorio. E invece i fossi, preziosi snodi naturali di regimentazione delle acque, sono stati occlusi, deviati, riempiti di cemento. Lo stesso dicasi della pulizia. Praticamente inesistente. E questo è preoccupante se si pensa che il territorio è praticamente lastricato da questi collettori. Se poi arriviamo ai famosi allagamenti che vede protagonista la Marina, dovremmo chiederci con quale criterio è stato progettato l’impianto fognario per cui da tempo immemorabile dopo cinque minuti di pioggia i tombini saltano come tappi. Alla luce di questi dati, è chiaro che i disastri causati dall’alluvione sono imputabili alla sciatteria e all’incuria, ma soprattutto alla corruzione e al malaffare di chi ha permesso che si violasse un territorio e la sua naturale conformità.

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