Nicotera. Sono in tutto
un’ottantina i comuni coinvolti nella vicenda giudiziaria relativa alla
Sogefil. In cime alla lista quello di Nicotera. Ma anche altri enti del
Vibonese, parghelia, ad esempio, avrebbero pagato a caro prezzo le presunte
malefatte dell'azienda cosentina. Enti che non hanno incassato dalla società di
riscossioni tributi quanto dovuto, mentre buona parte del denaro, decisamente
ben oltre la percentuale di aggio, si volatilizzava in un dedalo di «consulenze
finanziarie o prestazioni di altra natura», di «corresponsione di compensi»
agli amministratori della Sogefil «che non trovavano alcuna reale
giustificazione nel ruolo formale ricoperto nella compagine amministrativa».
Questo e molto altro era già condensato nell’ordinanza di custodia
cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di
Cosenza, nei confronti di sei dei 21 indagati. Peculato e danno erariale, i
principali capi di contestazione in un'inchiesta che va avanti.
L’indagine
del procuratore aggiunto Domenico Airona trae origine, si ricorderà, dalla
attività avviata dalla Procura di Catanzaro, la quale trasmetteva gli
atti alla Procura di Cosenza per competenza, in data 10 ottobre 2012. Al centro
della vicenda la società incriminata, regolarmente iscritta all’albo
ministeriale dei soggetti privati abilitati ad effettuare le attività di
liquidazione, accertamento e riscossione delle Province e dei Comuni.
Dalle
indagini effettuate dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di
Finanza, in merito all’organigramma della società (proveniente dalla Saigese, a
sua volta partecipata dalla Paloma srl, e munita di capitale sociale
detenuto dalla Elleti Service srl), emergeva immediatamente la sussistenza, fra
le citate società, di una significativa coincidenza di persone fisiche.
L’ipotesi investigativa concerneva il mancato introito, da parte della Sogefil,
di importi di ingente entità nelle casse comunali.
Le
indagini si sono subito mostrate complesse agli occhi degli inquirenti, perché
veniva riscontrata non solo una totale disorganizzazione societaria, ma anche,
si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, «un’assoluta mancanza di
attenzione e di cura nella custodia e nella tenuta della contabilità da parte
dei responsabili societari».
Nonostante
lo stato confusionario in cui versano i libri contabili della Sogefil, i
militari della Guardia di Finanza, hanno effettuato i dovuti accertamenti, dai
quali emergerebbe che dal 2005 al 2012 la percentuale del riversato rispetto al
riscosso, andava dal 65,67% al 39,01%. In pratica, di anno in anno, diminuiva
quanto era doveroso versare nelle casse degli enti pubblici. «Condotta
criminosa» da parte degli indagati se si pensa che la percentuale di aggio
spettante alla società era, mediamente dell’8,93%, cifra che sarebbe poi stata
arrotondata poi, per eccesso, al 12%, «in modo da comprendervi anche il recupero
delle spese fisse sostenute dalla società per l’attività di riscossione, anche
se, tali spese, avrebbero dovuto essere rimborsate solo a seguito di analitica
rendicontazione».
Gli
accertamenti contabili effettuati dalla Guardia di Finanza, hanno consentito di
rilevare riversamenti, per il periodo dal 2005 al 2012, pari a 27.703.698,22 di
euro a fronte di riscossioni complessive per 43.591.255,90.
In
ordine alla ricostruzione degli importi oggetto della presunta appropriazione,
«pur nella già evidenziata difficoltà derivante dalla confusione contabile
della Sogefil, l’ammontare delle somme veniva determinato non sulla base della
documentazione rinvenuta presso la medesima Sogefil, caotica e incomprensibile,
ma in base ai riversamenti effettuati dai comuni».
Dall’istanza
di richiesta di custodia cautelare emerge inoltre che «la Sogefil, oltre ad
omettere il riversamento dei tributi agli enti destinatari delle riscossione,
manteneva anche comportamenti omissivi nei confronti degli obblighi di
versamento delle imposte dovute sulla base delle dichiarazioni presentate
(tanto da dover richiedere un piano di rientro all’Equitalia)», stessa condotta
nei confronti di fornitori e dipendenti, i quali, «oltre ad essere stati posti
progressivamente in mobilità, non si vedevano corrispondere gli stipendi, né
versati i contributi».
Ma
che fine facevano i soldi dei tributi comunali che, presumibilmente, la Sogefil
ha fatto sparire? Secondo gli inquirenti, la società cosentina ha fatto ricorso
direttamente alle riscossioni incassate per conto dei comuni per far fronte
alle proprie spese correnti, «utilizzando tali somme di denaro come somme
direttamente ricadenti nella propria disponibilità». Dall’analisi della
contabilità sono emersi pagamenti «riconducibili alle persone egli
amministratori, emolumenti riconosciuti a società collegate agli stessi,
pagamenti a non ben individuati fornitori e per incomprensibili consulenza
finanziarie o prestazioni professionali nemmeno adeguatamente descritte».
A
titolo esplicativo: alla Quadro srl viene corrisposta dal 2009 al 2010 la somma
di 449.420,00. La Quadro è, presumibilmente, una delle tante società collegate
alla Sogefil. Un sistema, insomma, a “scatole cinesi”, ovvero la costituzione
di società diverse al fine di far perdere le tracce delle precedenti.
Da
rilevare poi che un’altra ragguardevole somma di denaro veniva usata per
ricariche di Postepay ad uso degli amministrati della società. Le carte di
credito prepagate, secondo le carte dell’inchiesta, erano usate per «pagamenti
presso esercenti di varia natura (supermercati, farmacie, parrucchieri, negozi
di giocattoli e abbigliamento, etc.)».
Ecco
dove finivano i soldi dei contribuenti.
Enza
Dell'Acqua
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