venerdì 17 gennaio 2014

SOGEFIL: Storia di uno scandalo.



Nicotera. Sono in tutto un’ottantina i comuni coinvolti nella vicenda giudiziaria relativa alla Sogefil. In cime alla lista quello di Nicotera. Ma anche altri enti del Vibonese, parghelia, ad esempio, avrebbero pagato a caro prezzo le presunte malefatte dell'azienda cosentina. Enti che non hanno incassato dalla società di riscossioni tributi quanto dovuto, mentre buona parte del denaro, decisamente ben oltre la percentuale di aggio, si volatilizzava in un dedalo di «consulenze finanziarie o prestazioni di altra natura», di «corresponsione di compensi» agli amministratori della Sogefil «che non trovavano alcuna reale giustificazione nel ruolo formale ricoperto nella compagine amministrativa». Questo e molto altro era già condensato  nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Cosenza, nei confronti di sei dei 21 indagati. Peculato e danno erariale, i principali capi di contestazione in un'inchiesta che va avanti.
L’indagine del procuratore aggiunto Domenico Airona trae origine, si ricorderà, dalla attività avviata dalla Procura di Catanzaro, la quale  trasmetteva gli atti alla Procura di Cosenza per competenza, in data 10 ottobre 2012. Al centro della vicenda la società incriminata, regolarmente iscritta all’albo ministeriale dei soggetti privati abilitati ad effettuare le attività di liquidazione, accertamento e riscossione delle Province e dei Comuni.
Dalle indagini effettuate dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza, in merito all’organigramma della società (proveniente dalla Saigese, a sua volta partecipata dalla Paloma srl,  e munita di capitale sociale detenuto dalla Elleti Service srl), emergeva immediatamente la sussistenza, fra le citate società, di una significativa coincidenza di persone fisiche. L’ipotesi investigativa concerneva il mancato introito, da parte della Sogefil, di importi di ingente entità nelle casse comunali.
Le indagini si sono subito mostrate complesse agli occhi degli inquirenti, perché veniva riscontrata non solo una totale disorganizzazione societaria, ma anche, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, «un’assoluta mancanza di attenzione e di cura nella custodia e nella tenuta della contabilità da parte dei responsabili societari».
Nonostante lo stato confusionario in cui versano i libri contabili della Sogefil, i militari della Guardia di Finanza, hanno effettuato i dovuti accertamenti, dai quali emergerebbe che dal 2005 al 2012 la percentuale del riversato rispetto al riscosso, andava dal 65,67% al 39,01%. In pratica, di anno in anno, diminuiva quanto era doveroso versare nelle casse degli enti pubblici. «Condotta criminosa» da parte degli indagati se si pensa che la percentuale di aggio spettante alla società era, mediamente dell’8,93%, cifra che sarebbe poi stata arrotondata poi, per eccesso, al 12%, «in modo da comprendervi anche il recupero delle spese fisse sostenute dalla società per l’attività di riscossione, anche se, tali spese, avrebbero dovuto essere rimborsate solo a seguito di analitica rendicontazione».
Gli accertamenti contabili effettuati dalla Guardia di Finanza, hanno consentito di rilevare riversamenti, per il periodo dal 2005 al 2012, pari a 27.703.698,22 di euro a fronte di riscossioni complessive per 43.591.255,90.
In ordine alla ricostruzione degli importi oggetto della presunta appropriazione, «pur nella già evidenziata difficoltà derivante dalla confusione contabile della Sogefil, l’ammontare delle somme veniva determinato non sulla base della documentazione rinvenuta presso la medesima Sogefil, caotica e incomprensibile, ma in base ai riversamenti effettuati dai comuni».
Dall’istanza di richiesta di custodia cautelare emerge inoltre che «la Sogefil, oltre ad omettere il riversamento dei tributi agli enti destinatari delle riscossione, manteneva anche comportamenti omissivi nei confronti degli obblighi di versamento delle imposte dovute sulla base delle dichiarazioni presentate (tanto da dover richiedere un piano di rientro all’Equitalia)», stessa condotta nei confronti di fornitori e dipendenti, i quali, «oltre ad essere stati posti progressivamente in mobilità, non si vedevano corrispondere gli stipendi, né versati i contributi».
Ma che fine facevano i soldi dei tributi comunali che, presumibilmente, la Sogefil ha fatto sparire? Secondo gli inquirenti, la società cosentina ha fatto ricorso direttamente alle riscossioni incassate per conto dei comuni per far fronte alle proprie spese correnti, «utilizzando tali somme di denaro come somme direttamente ricadenti nella propria disponibilità». Dall’analisi della contabilità sono emersi pagamenti «riconducibili alle persone egli amministratori, emolumenti riconosciuti a società collegate agli stessi, pagamenti a non ben individuati fornitori e per incomprensibili consulenza finanziarie o prestazioni professionali nemmeno adeguatamente descritte».
A titolo esplicativo: alla Quadro srl viene corrisposta dal 2009 al 2010 la somma di 449.420,00. La Quadro è, presumibilmente, una delle tante società collegate alla Sogefil. Un sistema, insomma, a “scatole cinesi”, ovvero la costituzione di società diverse al fine di far perdere le tracce delle precedenti.
Da rilevare poi che un’altra ragguardevole somma di denaro veniva usata per ricariche di Postepay ad uso degli amministrati della società. Le carte di credito prepagate, secondo le carte dell’inchiesta, erano usate per «pagamenti presso esercenti di varia natura (supermercati, farmacie, parrucchieri, negozi di giocattoli e abbigliamento, etc.)».
Ecco dove finivano i soldi dei contribuenti.
Enza Dell'Acqua





Nessun commento:

Posta un commento