martedì 10 ottobre 2017

Intervista a Lia Staropoli, presidente di Condivisa, sulla lotta alla criminalità organizzata.




Lia Staropoli, giovane avvocatessa di Limbadi, legale del Coisp e del Sap (Sindacati di Polizia), presidente dell’Associazione Condivisa, è autrice del libro “La santa setta”. Da sempre a fianco delle Forze dell’ordine nel difficile lavoro di contrasto alla criminalità organizzata.
-In che modo l’Associazione ConDivisa opera concretamente sul territorio per arginare lo strapotere materiale e culturale della mafia?

«Per contrastare concretamente la mafia, le associazioni devono operare gratuitamente e accanto alle donne e agli uomini delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, che rappresentano l’unica, autentica antimafia. Con il proposito di convincere i cittadini a non conferire consenso sociale alla ‘ndrangheta».
-Quanti membri conta la sua associazione?
«L’associazione è nata da pochissimo, eppure abbiamo migliaia di richieste di preadesione da tutta Italia e dall’estero. Siamo sommersi di richieste da passare al vaglio, il nostro sito e le nostre pagine social contano una grande moltitudine di adesioni e di visite, riceviamo ogni giorno centinaia di inviti. Ma non ci lasciamo prendere dall’entusiasmo, è nostro dovere vagliare le richieste di adesione e gli inviti con attenzione, per evitare di reclutare o incontrare le persone sbagliate».
-In che modo fa “proselitismo” tra i giovani?
«Nelle scuole, nelle piazze, ma punto sui social, è una guerra all’ultimo “like”, i ragazzi trascorrono molto, troppo tempo sui social, la propaganda mafiosa, anche se resta fortemente ancorata alle proprie tradizioni, come cerimonie di affiliazione, santini bruciati, processioni, sacramenti e inchini, cerca consensi anche sui social network. Mentre cattura l’attenzione degli adolescenti, per mezzo di gruppi che celebrano boss e affiliati, autori dei crimini più efferati, promuove contestualmente una feroce “caccia allo sbirro” per avallare spietate ritorsioni nei confronti di Poliziotti, Carabinieri e Finanzieri. L’Associazione “ConDivisa, a questo proposito, istituisce l’Osservatorio per monitorare la mafia sui social, con la collaborazione gratuita di un team di esperti con competenze specifiche, eccellenze nei settori di appartenenza, una “Task Force” per monitorare costantemente gli spazi virtuali interessati dal fenomeno mafioso per elaborare i criteri d’ individuazione del fenomeno e le proposte di legge per neutralizzare il pericolo sui social, un luogo virtuale frequentato assiduamente da giovanissimi, talvolta indifesi».
-La sua associazione riceve finanziamenti pubblici?
«“ConDivisa” non riceve finanziamenti di nessun genere e anche le tessere sono completamente gratuite».
-Gratteri sostiene che l'associazionismo antimafia non può divenire un mestiere, altri che è diventato un modo attraverso il quale personaggi in cerca d'autore escono dall'anonimato. Lei cosa risponde al primo e cosa ai secondi?
«Il dott. Gratteri ha perfettamente ragione chi intende parlare di legalità deve farlo gratis, aggiungo che gli ingenti fondi devono essere investiti nella Sicurezza e nella Giustizia. Alla teoria dei “personaggi in cerca di autore”, mi permetto di aggiungere anche i personaggi discutibili che tentano di riabilitare la propria immagine utilizzando sigle ed emblemi di associazioni antimafia e antiracket compiacenti; di recente, il Prefetto di Palermo ha sciolto delle associazioni antiracket, perché composte da persone che avevano delle frequentazioni torbide».
-Come ogni cittadino può fare concretamente antimafia?
«Evitando di prestare consenso sociale, anche un semplice “like” sui social al boss è una forma pubblica di consenso, nelle nostre piccole comunità conosciamo bene le persone oneste e le persone che non lo sono. Evitando di votare liste elettorali dove appaiono nomi che hanno avuto condotte deplorevoli».
-Trent'anni fa in un famigerato articolo Leonardo Sciascia coniò, con intenti evidentemente dispregiativi, il termine "professionisti dell'antimafia". Chi sono i professionisti dell’antimafia?
«I professionisti dell’antimafia sono quelli che dell’antimafia ne hanno fatto un mestiere, “a caccia di fondi pubblici e privati”, e il più delle volte non sono nemmeno troppo coerenti quanto predicano».
-Come si difenderebbe se tale accusa venisse rivolta a lei?
«Questa accusa mi è stata rivolta da alcuni componenti della ‘ndrina dei Mancuso e dai loro complici, sui social, ma di certo non è a loro che mi rivolgo rispondendo a questa domanda. Non ho mai preso nemmeno un euro per le attività della mia associazione, sono stata accusata anche di essermi arricchita con il libro “La Santa Setta”, in realtà non ho ancora ricevuto nulla dalla casa editrice, e quando riceverò il mio compenso, da tempo ho deciso di devolverlo ad una vedova dell’Arma con figli piccoli».

Nessun commento:

Posta un commento