Lia
Staropoli, giovane avvocatessa di Limbadi, legale del Coisp e del Sap
(Sindacati di Polizia), presidente dell’Associazione Condivisa, è autrice del
libro “La santa setta”. Da sempre a fianco delle Forze dell’ordine nel
difficile lavoro di contrasto alla criminalità organizzata.
-In
che modo l’Associazione ConDivisa opera concretamente sul territorio per
arginare lo strapotere materiale e culturale della mafia?
«Per contrastare
concretamente la mafia, le associazioni devono operare gratuitamente e accanto
alle donne e agli uomini delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, che
rappresentano l’unica, autentica antimafia. Con il proposito di convincere i
cittadini a non conferire consenso sociale alla ‘ndrangheta».
-Quanti
membri conta la sua associazione?
«L’associazione è nata
da pochissimo, eppure abbiamo migliaia di richieste di preadesione da tutta
Italia e dall’estero. Siamo sommersi di richieste da passare al vaglio, il
nostro sito e le nostre pagine social contano una grande moltitudine di
adesioni e di visite, riceviamo ogni giorno centinaia di inviti. Ma non ci lasciamo
prendere dall’entusiasmo, è nostro dovere vagliare le richieste di adesione e
gli inviti con attenzione, per evitare di reclutare o incontrare le persone
sbagliate».
-In
che modo fa “proselitismo” tra i giovani?
«Nelle scuole, nelle
piazze, ma punto sui social, è una guerra all’ultimo “like”, i ragazzi
trascorrono molto, troppo tempo sui social, la propaganda mafiosa, anche se
resta fortemente ancorata alle proprie tradizioni, come cerimonie di
affiliazione, santini bruciati, processioni, sacramenti e inchini, cerca
consensi anche sui social network. Mentre cattura l’attenzione degli
adolescenti, per mezzo di gruppi che celebrano boss e affiliati, autori dei
crimini più efferati, promuove contestualmente una feroce “caccia allo sbirro”
per avallare spietate ritorsioni nei confronti di Poliziotti, Carabinieri e
Finanzieri. L’Associazione “ConDivisa, a questo proposito, istituisce
l’Osservatorio per monitorare la mafia sui social, con la collaborazione
gratuita di un team di esperti con competenze specifiche, eccellenze nei
settori di appartenenza, una “Task
Force” per monitorare costantemente gli spazi virtuali interessati dal
fenomeno mafioso per elaborare i criteri d’ individuazione del fenomeno e le
proposte di legge per neutralizzare il pericolo sui social, un luogo virtuale
frequentato assiduamente da giovanissimi, talvolta indifesi».
-La
sua associazione riceve finanziamenti pubblici?
«“ConDivisa” non riceve
finanziamenti di nessun genere e anche le tessere sono completamente gratuite».
-Gratteri
sostiene che l'associazionismo antimafia non può divenire un mestiere, altri
che è diventato un modo attraverso il quale personaggi in cerca d'autore escono
dall'anonimato. Lei cosa risponde al primo e cosa ai secondi?
«Il dott. Gratteri ha
perfettamente ragione chi intende parlare di legalità deve farlo gratis, aggiungo
che gli ingenti fondi devono essere investiti nella Sicurezza e nella
Giustizia. Alla teoria dei “personaggi in cerca di autore”, mi permetto di
aggiungere anche i personaggi discutibili che tentano di riabilitare la propria
immagine utilizzando sigle ed emblemi di associazioni antimafia e antiracket
compiacenti; di recente, il Prefetto di Palermo ha sciolto delle associazioni
antiracket, perché composte da persone che avevano delle frequentazioni
torbide».
-Come
ogni cittadino può fare concretamente antimafia?
«Evitando di prestare
consenso sociale, anche un semplice “like” sui social al boss è una forma
pubblica di consenso, nelle nostre piccole comunità conosciamo bene le persone
oneste e le persone che non lo sono. Evitando di votare liste elettorali dove
appaiono nomi che hanno avuto condotte deplorevoli».
-Trent'anni
fa in un famigerato articolo Leonardo Sciascia coniò, con intenti evidentemente
dispregiativi, il termine "professionisti dell'antimafia". Chi sono i
professionisti dell’antimafia?
«I professionisti
dell’antimafia sono quelli che dell’antimafia ne hanno fatto un mestiere, “a
caccia di fondi pubblici e privati”, e il più delle volte non sono nemmeno
troppo coerenti quanto predicano».
-Come
si difenderebbe se tale accusa venisse rivolta a lei?
«Questa accusa mi è
stata rivolta da alcuni componenti della ‘ndrina dei Mancuso e dai loro
complici, sui social, ma di certo non è a loro che mi rivolgo rispondendo a
questa domanda. Non ho mai preso nemmeno un euro per le attività della mia associazione,
sono stata accusata anche di essermi arricchita con il libro “La Santa Setta”,
in realtà non ho ancora ricevuto nulla dalla casa editrice, e quando riceverò
il mio compenso, da tempo ho deciso di devolverlo ad una vedova dell’Arma con
figli piccoli».
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