venerdì 1 marzo 2019

Il Capo della Polizia Gabrielli a Nicotera: tante parole e personaggi famosi, ma per Nicotera niente Commissariato di Polizia.



(questo articolo è uscito a fine agosto 2018)
Nicotera. Il Capo della Polizia Franco Gabrielli è atterrato nel campo sportivo di Nicotera all’incirca verso le 21 di venerdì. Da qui, blindato da una circospetta scorta, è giunto in piazza Castello, dove, ad attenderlo, c’era già un parterre de rois di tutto rispetto. In prima fila il procuratore Gratteri e l’ex onorevole Angela Napoli, ma anche le varie rappresentanze istituzionali del territorio. Ad organizzare l’incontro Antonio Miceli, funzionario Ue di origini nicoteresi, dotato del raro privilegio di dare del “tu” al Capo della Polizia, in virtù di un’amicizia ventennale, come dichiarato dallo stesso Gabrielli (nel prendere la parola nel corso della conferenza). Ad intervistarlo i giornalisti Alberto Romagnoli, corrispondente Rai da Bruxelles, e Carlo Macrì del Corriere della Sera. Il tema della discussione è inevitabilmente caduto sulla ndrangheta, grande piaga della Calabria. In pole position la questione degli scioglimenti dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose: «Il problema molto spesso- ha detto il Capo della Polizia- non sono gli eletti, ma la macchina amministrativa. Possiamo cambiare all’infinito i soggetti che rappresentano la parte politica dell’amministrazione, ma se non si incide sulla macchina amministrativa non credo che le cose possano cambiare veramente». Gabrielli ha poi parlato della necessità, da parte dello Stato, di aiutare i cittadini onesti a vivere in una regione difficile come la Calabria, aggredita dal malaffare. In tal senso, prendendo a prestito le parole di un imprenditore, ha detto che «è difficile stare in calabria ma non impossibile», però, ha precisato, «non possiamo solo confidare nelle capacità della brava gente di essere e di mantenersi  brava gente, dobbiamo creare anche le condizioni perché ciò avvenga. Ci deve essere un’azione repressiva  dell’autorità giudiziaria, con il concorso delle forze di Polizia, ma ci deve essere anche un’azione chirurgica nell’ambito delle macchine amministrative: se ci sono dei gangli che si ritengono più esposti a infiltrazioni o condizionamenti mafiosi, lì è necessario intervenire», ha rimarcato. Ampio spazio è stato dedicato al tema della responsabilità: «Il fatto, in Italia, di ricercare “dopo” le responsabilità è quasi uno sport nazionale». Da qui si è soffermato sulla famigerata circolare Gabrielli, meglio conosciuta come la circolare che “vieta le sagre”.  «Quella circolare- ha argomentato il Capo della Polizia- ha avuto la colpa di porre il tema della responsabilità: il secondo comma, articolo 40, del Codice Penale dice che chi ha l’obbligo giuridico di impedire un evento e non lo impedisce equivale a cagionarlo». L’intervento è dunque approdato sul tema dell’accertamento della responsabilità che di norma avviene sempre dopo un fatto tragico, invece è sulla prevenzione di eventi spiacevoli che bisognerebbe puntare l’attenzione:  «E questa è la cosa che dobbiamo modificare nel comportamento di ciascuno di noi,  che investe primariamente chi ha compiti di responsabilità».
Prevenzione e responsabilità, dunque, liet-motiv del dibattito; eppure, alle domande del Quotidiano, se un territorio come Nicotera, devastato da mafia e una sfilza di omicidi, avrà il tanto agognato commissariato di Polizia la risposta è stata un no senza appello, per questione di numeri. “In un paese sprovvisto di ogni tutela in che modo i cittadini possono recuperare la fiducia nello Stato?”. Il Capo della Polizia ha risposto che esistono i crimini ma esiste anche l’azione di Polizia; quindi, dal punto di vista della risposta repressiva, lo Stato c’è. “Si, ma lo Stato arriva sempre dopo, lo ha detto lei”, parlando di quel famigerato sport nazionale che è la ricerca postuma delle responsabilità. Sempre dopo, a tragedia consumata. A livello preventivo, ha aggiunto, «è necessario il concorso da parte delle comunità, che non devono sempre aspettare che qualcun altro faccia qualcosa». Solo che questo indefinito “qualcuno” è lo Stato, che non deve essere solo un’astrazione concettuale, ma fattiva presenza sul territorio, affinchè sblocchi i calabresi da un’atavica diffidenza.

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